lunedì 29 luglio 2013

La Magia della Fiaba - Conversazioni con Daniele Capuano sul significato esoterico delle fiabe PRIMA PARTE

Generalmente, sono considerato (per quanto abbia senso tale espressione) una persona colta, intellettualmente vivace, spesso informata su aspetti poco noti di argomenti di comune interesse. Molte persone mi apprezzano come un brillante conversatore, una fonte di aneddoti curiosi e illuminanti su personaggi storici, grandi scrittori, luoghi universalmente conosciuti.
 Un mio amico scherzosamente mi chiama "Adripedia".
Ringrazio tutte le persone che negli anni mi hanno generosamente accordato la loro stima, e riconosciuto in me tali amabili qualità, anche, recentemente, attraverso la lettura di questo blog.
Ma è tempo di gettare la maschera.
Per quanto il mio ego superi i confini conosciuti dell'umana comprensione, e la mia autostima sia senz'altro superiore a quella di Cesare, Rodolfo Valentino e Ibrahimovic messi insieme, devo qui fare atto di pubblica umiltà.
C'è una persona di fronte alla cui cultura e conoscenza io appaio un goffo analfabeta balbuziente, e alla quale mi inchino coram populo.
Sto parlando di Daniele Capuano, una mente eccelsa e un animo nobile, che da anni mi ha concesso il privilegio di un'amicizia fraterna. 
Gran parte della mia apparente cultura viene da interminabili conversazioni della nostra adolescenza, in cui Daniele mi ha letteralmente schiuso universi di riflessione, sentieri di ricerca, giacimenti di bellezza.
Se ho conosciuto e amato alla follia Mozart, Tarkovskij, T.S. Eliot, Florenskij, Rilke, Captain Beefheart, i Santarita Sakkascia e Guido Ceronetti, lo devo a lui.
Se io passo per un erudito perché magari conosco il nome di un poeta francese minore di fine Ottocento, lui di quell'autore ha letto tutto. Oltre a quelli maggiori.  E ai classici. E ai testi sacri. Di tutte le religioni. Studiati in lingua originale.  Non so se ho reso l'idea. 
Ma sa anche tutto sui Velvet Underground, sul pugilato, sulla cucina umbra, sulla tradizione rituale ebraica, sul diritto islamico, sulle faide interne al PCUS...l'elenco potrebbe continuare in migliaia di imprevedibili variazioni.
 Probabilmente, è la reincarnazione di Pico della Mirandola.
In un mondo giusto sarebbe Ministro della Cultura dell'Universo.
Mi è parso dunque giusto nei confronti dei miei lettori condividere questo privilegio, iniziando a pubblicare un ciclo di conversazioni, su temi di varia ispirazione e interesse, con il mio ammirato amico e mentore.
Abbiamo deciso di iniziare evocando il più classico degli inizi: "C'era una volta..."


"Alice attraverso lo specchio", illustrazione originale di John Tenniel


CZ: Qual è secondo te il fascino, l’importanza del concetto di fiaba? E, come essa, secondo te, affonda le sue radici nella sapienza popolare, e quindi in una forma di narrazione archetipica, e come si riflette sulle attuali forme di comunicazioni di massa (per cui il cinema, la narrativa etc..)? Qual è il rapporto fra eterno e contemporaneo, che nel concetto di fiaba è implicito?

La Porta Magica di Piazza Vittorio


DC: Ci siamo incontrati davanti alla Porta Magica di Piazza Vittorio. Credo fosse significativa l’idea, per quanto non del tutto deliberata, perché, come quasi tutti sanno, la Porta Magica è il vestigio di pietra di una iniziazione ermetica. Una delle poche dimore filosofali italiane, anzi più che una dimora probabilmente era la porta di un laboratorio, e in ogni caso è un betilo*, una pietra sacra che in qualche modo testimonia che è avvenuta una iniziazione. La fiaba a me pare qualcosa di simile, sebbene meno velata nel caos mercuriale di Piazza Vittorio, come la Porta del Marchese Massimiliano Palombara, e sebbene meno esplicitamente esoterica, almeno nel senso più immediato del termine.
La fiaba a me pare l’ultimo vestigio abitabile di quella che era l’antica grande idea di iniziazione, presso noi moderni. Ovviamente, non è un accostamento semplice, di questo magari parleremo dopo. Però, in che senso dico questo? Cerco di spiegarmi: a me dà molto il sapore dell’iniziazione il finale di una poesia che si chiama Il Convertito [The Convert], di Chesterton, uno dei più grandi, a mio giudizio, esploratori del mondo fiabesco, fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Alla fine di questa poesia, che è un sonetto in cui in qualche modo cerca di esprimere il proprio rapporto con il mondo dopo la conversione (una sorta di prodromo all’iniziazione, o che può essere accostata all’iniziazione in ambito abramico e non sapienziale classico), dopo aver parlato delle “foreste di lingue” dell’umanità, dopo aver parlato della saggezza con cui gli uomini provano a tracciare le mappe del mondo, dice: “...Ma tutte queste cose per me sono meno della polvere/ perché  il mio nome è Lazzaro e sono vivo”.
Questa è solo una suggestione. Però, a costo di essere digressivo, comincio a parlare dei particolari: penso alle fiabe letterarie che più ci sono vicine, ad esempio quelle del Seicento francese. Qualcuno le ha accusate, scrive Cristina Campo, di adornare con troppe piume di struzzo e troppi paraphernalia del secolo d’oro l’antica e perpetua saggezza che invece sfolgora in maniera archetipicamente più trasparente nelle grandi fiabe della tradizione popolare, che comunque sono sempre state raccolte da letterati, perché altrimenti non ne potremmo più parlare (le raccolte dei Grimm, di Andrew Lang etc..). È vero che nei cosiddetti Racconti delle fate, quelli di Madame d’Aulnoy,  di Madame Leprince de BeaumontLa Bella e la Bestia ad esempio, le grandi fiabe di Perrault, è vero che c’è molto del mondo dell’epoca. Questo è l’approccio semplicistico che si può avere leggendo all’inizio quelle fiabe, sembrano un po’ un manuale, narrativamente molto accattivante, non di iniziazione ma di educazione sociale del perfetto gentiluomo dell’epoca. Alle ragazze si insegna continuamente, anche da parte delle fate, a parlare in un certo modo, a stare bene a tavola, a ragazzi si insegna ad essere coraggiosi e buoni conversatori, come voleva lo spirito dell’epoca, e in effetti questa è una parte dell’insegnamento di quelle fiabe.
Un’altra fiaba letteraria, forse la più grande italiana, è ovviamente Pinocchio di Collodi. Molti sono cascati in questo trabocchetto (un po’ di meno rispetto ad altre fiabe, perché Pinocchio contiene molti anticorpi in evidenza), nella trappola di vedere in questa fiaba un’esortazione al bambino ad essere un bravo studente che non marina la scuola, a dire sempre la verità alla mamma e al papà, e così via…
Effettivamente, credo che questo faccia parte dell’essenza della fiaba, esattamente come la buccia fa parte delle pere di cui Pinocchio viene consigliato di nutrirsi dal ‘padre’ dopo la famosa notte di paura e di fame con cui inizia il romanzo, o il racconto che dir si voglia. Ad ogni modo, è vero che s’insegna ai ragazzi ad essere bravi ragazzi del loro tempo, sia nel Seicento francese che nell’Ottocento umbertino, però con lo sguardo dell’iniziato.


Illustrazione da "Le Avventure di Pinocchio"

CZ: Ci sono molti simboli che potremmo definire massonici ed occulti nel Pinocchio.

DC: Assolutamente. Questo è un livello ulteriore di lettura. La cosa che a me salta agli occhi è che questo  livello più superficiale, che potremmo definire di “etichetta” più che di morale...

CZ: Il “bon ton” dell’epoca...

DC: Esatto,  ma anche la morale stessa delle favole… è parte di questo cammino iniziatico. È come se le fiabe suggerissero una sorta di operazione squisitamente iniziatica, che potremmo definire una sorta di karma-yoga o, evangelicamente, “sii nel mondo, senza essere del mondo”.

CZ: Che poi è una sorta di sintesi di molta sapienza orientale, una sorta di aforisma che quasi sintetizza e porta nel Cristianesimo il messaggio della Bhagavad Gita...

DC: Certo. Quello che non dobbiamo dimenticarci (a proposito di Gita, da te appena citata) è che il ragazzo che esce dal racconto di Madame d’Aulnoy è un ragazzo che diventa un gentiluomo, ma è anche un ragazzo che ha imparato a vedere le fate e a conversare con loro. Pinocchio è diventato un bambino come tutti gli altri, ma lo è diventato grazie alla sua capacità di vedere la fata in sogno, che è il finale del racconto, non dimentichiamo. 

CZ: ...reso magnificamente da Carmelo Bene...




DC: Infatti. La lettura di Carmelo Bene è una delle più sensibili proprio perché non cade in nessuno dei trabocchetti ideologici...

CZ :Anzi, li capovolge proprio, lui dice che Pinocchio in realtà è il bambino che vorrebbe abortire il passaggio all’età adulta per mantenere questo sguardo di irresponsabile innocenza…



DC: Sì, anche se, al di là della resa magnifica della sua interpretazione, a me sembra una lettura, forse in maniera civettuola, limitata. Secondo me, quello che caratterizza Pinocchio, come quasi tutti gli eroi delle fiabe, è la loro fame, veramente straordinaria, di normalità, insieme al loro desiderio di vivere le avventure più stabilianti....

CZ: E qui torniamo a Chesterton, lo stupore iniziatico che ti porta paradossalmente all’accettazione entusiastica del quotidiano, come fosse la più magica delle avventure... la famosa frase di Chesterton, in cui dichiarava di commuoversi davanti all’orario dei treni (“No, tenetevi i vostri libri di pura poesia e prosa, lasciatemi leggere un orario ferroviario con gli occhi bagnati di lacrime d’orgoglio!”).

Il grande Chesterton ritratto come Bacco


DC: Sì, infatti questo stupore è la sostanza di cui sono fatte tutte le grandi fiabe, anche le più umili e nascoste. In un certo senso la fiaba inizia a quello che potremmo chiamare il mondo dell’immaginazione, però stando attenti alla portata direi ontologica di questa espressione. Mi rifaccio qui a un grande orientalista, iranista, Henry Corbin, che studiando i sufi iranici ha portato alla luce un’idea mistico-filosofica...

CZ: Il mondo immaginale...

DC: Esatto. Il mondo immaginale è un mondo terzo, che sta fra il mondo materiale che noi cogliamo con i sensi grossolani nella realtà della veglia, e il mondo, che potremmo definire intellettuale o spirituale, delle “idee platoniche”, che non cade sotto i sensi. Il mondo immaginale è invece un mondo che cade sotto sensi rinnovati. È il mondo del corpo sottile, per utilizzare un’espressione familiare a quasi tutte le grandi tradizioni spirituali e sapienziali. Questo è il mondo dove accadono, Corbin diceva pesando le parole dove hanno luogo, dove hanno veramente il loro luogo di accadimento, le fiabe, le visioni dei mistici, le grandi narrazioni apparentemente incongrue alla realtà di veglia. E che di fatto sono delle intersezioni tra il mondo di veglia (che è anche un mondo storicamente determinato, quello del Seicento francese, quello della Toscana dell’Ottocento di Collodi) e...

Uno schema moderno del Corpo Sottile elaborato sull'Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci 


CZ: Un ponte d’accesso a quello che Jung avrebbe chiamato Inconscio Collettivo, un  momento di contatto, vorrei dire di connessione, di ispirazione, vicino forse allo stato di Turiya, però non volto al dissolvimento nello Spirito, bensì ad uno sguardo rinnovato sulla realtà fenomenica, che consente di interpretarla come specchio di una realtà superiore... correggimi se sbaglio!

DC: Sono perfettamente d’accordo. Del resto, sappiamo tutti che le grande fiabe classiche sono un itinerario in cui di solito si diventa re, si diventa ricchi, in cui si vive felici e contenti con la propria sposa e si fanno tanti bambini... sono finali sottilmente sorridenti, che alludono ad una presa di contatto, come dicevi tu, con la totalità dell’Essere...

CZ: La realizzazione, nel senso di felicitas... Come poi Dante dice nella famosa lettera, chissà se attribuibile o meno, a Cangrande della Scala: l’obiettivo dell’opera, e dunque della vita, è avvicinare, condurre i viventi allo stato di  felicità, appunto nel senso etimologico di Realizzazione.

DC: ... la felicitas sul piano umano, la beatitudo sul piano spirituale

CZ: Esatto. Questo mi riporta molto alla cultura indiana, dove ad esempio c’è Shri Lakshmi, che è anche, non solo, la Dea della Fortuna, della Ricchezza, del benessere materiale, della pura soddisfazione, dell’abbondanza... che poi diventa, nella sua forma evoluta, Shri Mahalakshmi, colei che concede la Moksha, la Liberazione, la Realizzazione, e che quindi diventa una delle manifestazioni più potenti dell’archetipo della Grande Madre. Di cui, nella nostra cultura occidentale, la manifestazione è senza dubbio la Vergine Maria, della quale però è stato sempre enfatizzato l’aspetto compassionevole e benevolente. La Dea in India ha anche un aspetto guerriero e feroce, contro i demoni ad esempio.



DC: Non è un caso che l’immagine di felicitas nella nostra cultura occidentale sia il Paradiso Terrestre, dove non esisteva scissione tra il carnale e lo spirituale, tra il significato e il significante. E non dimentichiamoci che la fiaba è narrata da un vecchio ad un bambino. Il bambino è una creatura che ancora non sperimenta, se non come minaccia distante da sé, la scissione caratteristica dell’età adulta fra il piacere fisico e il rispetto dei limiti imposti dai genitori.



CZ: Shri Mataji, ad esempio, dice proprio che i bambini sono nello stato di Yoga, prima della formazione dell’ego, e quindi della percezione della separazione, della divisione “io-tu, noi-voi” etc...


Shri Mataji Nirmala Devi

DC: Questo ci porta, tra l’altro, a quello che per noi oggi è un dilemma. È difficile leggere una fiaba ad un bambino moderno, a un bambino perlomeno che sia già stato toccato dall’atmosfera culturale di massa, e si tratta di un contatto piuttosto precoce purtroppo. Anche se, per chi si è accostato in qualche modo ad un esperienza spirituale o religiosa, è naturale pensare che l’ascesa alla montagna della Conoscenza comporti poi, nella ridiscesa al popolo, un racconto che non può non articolarsi con queste immagini: l’immagine della ricerca della regalità, della ricerca di ricchezza, della ricerca ad esempio di un gioiello perduto, o di qualcosa di smarrito, tutte le immagini che sostanziano le fiabe eterne.

CZ: Schematizzando, tutte metafore del tesoro interiore, della verità da trovare, appunto, della Realizzazione...

DC: Sì, un tesoro interiore che comporta una presa maggiore, e non minore, sul mondo che cade sotto i nostri sensi, come dicevi tu prima. È un dono totale, integrale, di cui il bambino e l’uomo antico non si vergognano, ma che noi invece spesso percepiamo come qualcosa di delusivo. Il finale della fiaba viene spesso deriso nella letteratura “alta”…

CZ: Infatti, con molta sapienza e umorismo, anche il finale de I Promessi Sposi, con consapevole ironia, lo evoca. Per me, il fatto che I Promessi Sposi vengano considerati un romanzo noioso e pedante è una delle grandi maledizioni della Chiesa Cattolica.  Uno dei motivi per cui io sono fiero di essere italiano sono I Promessi Sposi...



DC: E Pinocchio... i due più grandi racconti in prosa dell’Italia dell’Ottocento. È un accostamento che mi piace e che, tra l’altro, sento molto, anche se si tratta di due prove letterarie completamente diverse...

CZ: Anche se in entrambe c’è questo senso dell’ itinerarium da “pilgrim’s progress”...I Promessi Sposi sono una sorta di Candide a rovescio...invece di esserci il ghigno beffardo della razionalità di Voltaire, c’è il più consapevole umorismo di Manzoni. E per me, per quanto stemperata dall’iniziale giansenismo e con una forma certo più castigata,  non è tanto distante dalla risata, a volte anche un po’ ebbra, di Chesterton.

DC: È vero. Dobbiamo precisare anche che non c’è esperienza religiosa che non abbia qualcosa di questa sobria ebbrezza.

CZ: Se è autentica, sì.

DC: Siccome sappiamo che Manzoni ha avuto un’autentica esperienza religiosa, nonostante i limiti del suo primo approccio al Cristianesimo... e forse anche del secondo, perché in effetti il Cattolicesimo ottocentesco, pur da lui difeso brillantemente...

CZ: ...nelle Osservazioni sulla morale cattolica... libro che ho sempre accostato a Ortodossia di Chesterton (che ha uno svolgimento più paradossale e quasi romanzesco nell’argomentazione)... dico sempre che per me sono due libri pericolosissimi, perché sono scritti talmente bene che uno rischia di... convertirsi al Cattolicesimo!!
Mi viene in mente quella riflessione sublime del Manzoni che scrive: “il mistero concilia le contraddizioni”, che è una delle più belle risposte che possa dare un credente a un ateo.

DC: Assolutamente, è un libro eccezionale. C’è un’appendice meravigliosa in cui confuta l’utilitarismo di Bentham, che andrebbe letta secondo me come introduzione allo studio della filosofia nelle scuole superiori.

CZ: L’epitaffio del nascente capitalismo.

DC: Epitaffio e monito all’epoca,  perché in Italia all’epoca potevano vedere ben poco di quello che sarebbe accaduto. Sì, l’insistenza su Chesterton e Manzoni mi trova, come sai, molto d’accordo, anche per quello che vorrei dire, che mi sta molto a cuore, sul dono veramente integrale, totale che fa la fiaba. Potrebbero sembrare due doni quelli di cui sto parlando adesso, in realtà ai miei occhi sono un solo dono.



E proprio come nelle fiabe che ascoltavamo da piccoli...

FINE DELLA PRIMA PARTE






* DC: nota alla parola betilo: non per spiegarla, ma per indicare come mi sia stata suggerita da una grassa turista australiana, in visita a Piazza Vittorio col marito (circa cinque mesi fa). Mi chiese informazioni sulla Porta, presso la quale ero seduto, e io gli dissi quello che potevo. Lei, buona protestante e quindi frequentatrice abituale del Libro, commentò: "So maybe it's kind of a bethel", riferendosi all'episodio di Giacobbe. Io le risposi: sì, qualcosa di simile, con la differenza che la Porta è stata fatta dalla mano di Dio e di un uomo insieme.





venerdì 12 luglio 2013

PYONGYANG di Guy Delisle - la recensione su "Conversazioni sul Fumetto"


Continua la collaborazione con "Conversazioni sul fumetto", stavolta l'occasione è la recensione di "PYONGYANG" di Guy Delisle, pubblicata con la consueta eleganza grafica da Rizzoli Lizard, opera di grande interesse nell'ambito del graphic journalism contemporaneo. La recensione la trovate QUI


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Buona Lettura!


giovedì 4 luglio 2013

LA PARMIGIANA E LA RIVOLUZIONE - Intervista a DON PASTA SELECTER






PREMESSA/RECENSIONE/ABBRACCIO

Sono un uomo fortunato.
Per chi ama come me i classici (ed è quindi costretto a immaginare dialoghi unicamente interiori con saggi indiani del 6.000 A.C., poeti greci dell'età di Pericle, nel  migliore dei casi filosofi morti nel primo dopoguerra), è una rivelazione illuminante e gioiosa incontrare fisicamente, nella bieca contemporaneità in cui siamo violentemente sbattuti, degli autentici alfieri del Bello, dei paladini della Gioia, dei custodi del Buon Gusto, degli irriducibili cavalieri dell'Intelligenza.


Dopo Massimo Palma e il suo imperdibile "Berlino Zoo Station" (ne abbiamo parlato, è il caso di dire, diffusamente QUI), ho avuto il piacere di scoprire un altro libro meraviglioso, completamente diverso per stile, contenuti e atmosfere, ma che mi ha conquistato con lo stesso ardente entusiasmo: "La Parmigiana e la Rivoluzione - Elogio della Frittura ed altre pratiche militanti". L’autore, Daniele De Michele, in arte Don Pasta Selecter (trovate il suo sito QUI),  andrebbe protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità: è una fortezza di Masada ambulante nei confronti del brutto, della stupidità, dell’insensata negatività che possiede il mondo moderno.
Dire che il libro sia un semplice libro di ricette accostate a canzoni o artisti sarebbe come dire che “The Times they are-a changin’” è un disco per voce, chitarra e armonica.
 E’ vero, o meglio è reale, ma non è vero: è un dato morto, indifferente, un catalogo funebre, un’etichetta che non può catturare il Bello e il Vero. S’ignorerebbe tragicamente il senso, l’importanza, la poesia ruvida e infuocata, la deflagrante potenza di quelle canzoni.
Questo libro è molto di più: un manifesto, un progetto culturale, un prontuario di gioia, un vademecum di buonumore, un atto d’amore. Libro italianissimo eppure pervaso da un respiro internazionale e ispirato da un vissuto cosmopolita, impregnato di tradizione nonostante sia un inno al meticciato (o viceversa, come preferite), è lo specchio fedele dell’anima potente e gentile dell’autore.
Quando lo incontro, al Bar Marani, in una  S.Lorenzo immersa nel primo squillante sole di un pigrissimo fine giugno, mi appare sorprendente e familiare. Sorprendente, perché leggendo il libro me lo aspettavo fiero, sanguigno, caciarone e rustico: e lo è. Ma nel contempo è anche elegante, sottile e cortese, parla un italiano forbito, impeccabile,  speziato d’ironia e condito da paradossi, addolcito da un erre moscia che me lo rende subito fraterno, innaffiato da una pronuncia velatamente francesizzata delle vocali, ma inasprito al punto giusto da improvvisi scoppiettii di vernacolo meridionale (romano d’adozione, napoletano per celia, salentino d’orgogliosa origine) che esplodono al momento giusto con tempi comici magistrali.
Familiare perché un uomo che scrive un libro del genere, che ama il soffritto e Dylan, che scrive un libro di ricette golosissime e le associa ai miei cantanti preferiti, uno scrittore generoso, entusiasta, innamorato del Bello, del Buono, che lotta col sorriso, a testa alta,  contro l’ottusità dell’industria alimentare, contro l’insensatezza dei pregiudizi etnici, contro tutte le mafie e le chiese che sono in primo luogo gabbie nella nostra mente, uno scrittore che davvero prova a spezzare le manette della mente, ma lo fa ridendo mentre ti offre un piatto squisito cucinato con le sue mani dopo aver chiesto la ricetta a una vecchietta di un paesino in cima al mondo….beh, non può che essere stato uno dei miei migliori amici in una vita precedente.

Un autore che fa una battaglia culturale seria, giusta, concreta, affondando nelle radici antropologiche più radicate della comunità umana, restituendocele nel silenzio interiore creato dall’ascolto d’un canto antico, e nella semplice meravigliosa soddisfazione di mangiare, con gioia e rispetto, i frutti della terra.
Un libro che, nella sua gioiosa disinvoltura, sembra rispondere con una battuta alla drammatica urgenza posta da Antonin Artaud:  "Mai come oggi si è parlato tanto di civiltà e di cultura, quando è la vita stessa che ci sfugge. E c’è uno strano parallelismo tra questo franare generalizzato della vita, che è alla base della demoralizzazione attuale e i problemi di una cultura che non ha mai coinciso con la vita e che è fatta per dettare legge alla vita. La cosa più urgente non mi sembra, dunque, difendere una cultura, […] ma estrarre da ciò che chiamiamo cultura delle idee la cui forza di vita sia pari a quella della fame”.

Un libro, soprattutto, la cui bellezza dura nel tempo, entra nella nostra quotidianità: da quando l’ho letto sono diventato un cuoco migliore (e chi mi conosce sa quanto io sia vanitoso a riguardo), e ho scoperto o riscoperto autori musicali che avevo sottovalutato o accantonato per anni.
Un libro, è presto detto, che aumenta la qualità della nostra vita.


Concludo questa doverosa introduzione con una imbarazzata confessione:  devo recuperare colpevolmente la tardiva recentissima scoperta di un capolavoro italiano (scoperto, guarda caso, grazie all’amico che mi segnalò “Berlino Zoo Station”): “Il Mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante. Faccio pubblica introspezione: aver scoperto questo libro a 34 anni, dopo che mi è passato sotto gli occhi almeno un milione di volte, dopo aver esplorato i libri di tutti gli autori che frequentavano la Morante (dall’odiato acume Moravia alla ammirata intelligenza profetica di Pasolini passando per l'adorato genio di Carmelo Bene), beh, ciò fa di me oggettivamente un ritardato. Quantomeno, un ritardatario. 
 Come atto riparatore farò subito mie le parole, perfette e ispiratissime, della Morante  nella sua introduzione alla “Canzone dei F.P. e degli I.M. in tre parti”, e le dedicherò a l'autore e a tutti coloro che si sono riconosciuti o si riconosceranno nella palpitante vitalità, ebbra di sole e bellezza, del suo libro*:
 “… perché i Felici Pochi sono indescrivibili/ Benché pochi,/ ne esistono d’ogni razza sesso e nazione/ epoca età società condizione/ e religione./ [...] pure quando siano volgarmente intesi brutti,/ in REALTÀ sono belli, ma la REALTÀ/ è di rado visibile alla gente./[...]/Difatti gli F.P. sono accidenti fatali dei Moti Perpetui/ semi originari del Cosmo, che volano fra poli fantastici, portati dal capriccio dei venti,/e germogliano in ogni terreno./Ma assai più spesso tornano/ in certi orienti (barbari) e oscure zone (depresse)/ dove non s’ha il vizio d’assassinare i profeti/ né di sterminare/ i poeti.”


 *ponendoli quindi nella schiera degli eletti, accanto ai miei Lari, dalla Morante presi come modelli di Felici Pochi: i diversamente sublimi Mozart, Giovanna d’ArcoSpinoza, Giordano Bruno, Simone Weil,  gli amati Rimbaud e Rembrandt, …a cui lei aggiunge il comunque stimato Gramsci, il geniale Giovanni Bellini e il gigante da combattimento Platone.





L'INTERVISTA 

Ci accompagna, testimone discreto e graditissimo Guido Turus (di cui parleremo presto), che lo ha appena intervistato per Bioresistenze (l'intervista molto interessante dal punto di vista economico-politico la trovate QUI)



 Ecco la nostra amabile conversazione:

CZ  E' un grandissimo piacere essere con Don Pasta, autore di questo libro bellissimo.

Io in realtà sono qui a reclamare la mia percentuale come account perché l'ho consigliato a tutte le persone che conosco, quindi se noterai un consistente aumento delle entrate tienimi presente

DP E' un piacere per me essere intervistato da uno che scrive un libro ad ogni articolo!! Solo un pazzo può scrivere l'articolo lunghissimo che hai scritto su Dylan!! 

(si riferisce a questo QUI)

CZ Ti ringrazio!

 La prima cosa che vorrei dire è che io sono un tuo seguace "ante litteram" , ho ritrovato nel libro una sorta di Vangelo di una fede che io spontaneamente seguo da anni....mi riferisco al mantra esistenziale che per risolvere i problemi basta aggiungere un pò d'olio....il mio aspetto denuncia questa mia attitudine, mia moglie ha chiesto diversi preventivi per sottopormi a liposuzione...volevo appunto chiederti se potevi enucleare questo concetto: L'importanza del soffritto come base della cultura e dell'identità italiana

DP Si, effettivamente, hai detto bene, secondo me, proprio in quest'epoca di regionalismi esasperati, l'unione italiana si basa sul soffritto. Ma proprio perché è impossibile smentirla: nessun padano potrà sfidare questa evidenza...cambia effettivamente il grasso utilizzato, cioè si può utilizzare il lardo, la sugna (grande amore per la sugna!), ovviamente l'olio di oliva, il burro...però tutti rispettano il punto che la cucina italiana si basa sul soffritto. Secondo me è questa la nostra grande caratteristica che io, vivendo in Francia,cerco di spiegare: è inutile parlare di cucina italiana se non imparate questa regola di base che è il soffritto. E in effetti questo soffritto secondo me  funziona...se si aggiunge olio. Per esempio, una pasta al sugo, secondo me funziona se si vede alla fine il bordo giallo, altrimenti... è nichilismo.


CZ Scusa, devo comprare un pacchetto di Kleenex, mi sto commuovendo.

Due domande fondamentali sul soffritto. La prima:
 vogliamo fare una raccolta firme, tipo quelle che sottoscrive Saviano, per la reintroduzione dello strutto nelle mense scolastiche?


DP Si, si, difatti ora su "Change" dobbiamo lanciare una petizione sull'uso dello strutto. Mi accorsi del problema dello strutto quando una volta dovevo fare i pasticciotti, i pasticciotti salentini, un dolce tecnicamente molto semplice: pasta frolla e crema pasticcera, ma con questa leggerezza insolita della pasta, questa fragranza, che non si trova per esempio nelle crostate romane, che sono molto dure, mi resi conto che la base di questa leggerezza, di questa fragranza era lo strutto.

Andai dal macellaio a Roma e chiesi dello strutto.e lui mi rispose: "Non lo facciamo". Io risposi che lo strutto è insito nel maiale, non è che lo devi produrre...


CZ Si procuri un maiale...



DP ...ma lui mi rispose: "Non se lo compra nessuno". E li mi resi conto della gravità, perché molte cose acquisiscono un gusto migliore proprio grazie allo strutto. Detto ciò, la gente potrebbe pensare: "Ma questo mangia sempre grasso!", e invece è completamente falso. L'uso di uno strutto sano si fa ovviamente con ponderazione, è completamente folle questa idea che usare lo strutto o friggere voglia dire mangiare pesante. Hanno completamente travisato il concetto di uso dello strutto. Lo strutto, la sugna, il grasso uno li usa poco, mica ogni giorno...però quando uno deve fare le cose per bene le devi fare per bene, e quindi..usi la sugna!!!



CZ Standing ovation interiore.

Domanda ora più tecnica; nel soffritto aglio e cipolla come convivono? E' una deformazione orientale, o anche nella nostra tradizione possono essere compresenti?

DP Questa è la domanda più difficile che mi è mai stata fatta.

Intanto, non c'è una regola. Ci sono litigi sconvolgenti già solo sull'uso dell'aglio o della cipolla in sé, ad esempio nel sugo. Con un napoletano ho rischiato pesantemente la perdita dell'amicizia, perché prediligono  l'aglio e non la cipolla. Là c'è una questione di educazione familiare, non c'è nulla di più complicato che infrangere delle regole familiari sull'uso del soffritto. Noi per esempio nel sugo mettiamo la cipolla, ma quando ho provato a spiegarlo al napoletano "nun me capiva", ripeteva: "No, se mette l'aglio!".  Insieme, si possono usare in alcuni piatti,  possono dare risalto ad esempio se si fanno i saltati di legumi, di ortaggi, l'unione spacca! Danno due sapori diversi, e quindi è come si utilizzassero i piselli e le fave, danno una composizione diversa di sapori. Sul sugo, per esempio, ne metterei solo uno, non ce la farei a metterli entrambi.

CZ Nella Carbonara ce la metteresti la cipolla?


DP No.


CZ Nell'Amatriciana (da romano faccio domande per locali)?


DP Nell'Amatriciana...ci può stare. Un'altra cosa importante: un'altra petizione importante che io farò è: quando dicono che non bisogna sfumare l'aglio perché diventa tossico...con tutte le cose che ci mangiamo, mi rompi il....perché non posso bruciare l'aglio?!!

La pasta con le cozze se non bruci l'aglio che senso ha....è l'asse portante la bruciatura dell'aglio! Anche nelle orecchiette con le rape, aglio e acciughe....devi brucià l'aglio...sennò, come dire...sei un cojone!
Quindi altra petizione su...






CZ Ch-ch-changes!

Un'aspetto interessantissimo nel libro è la menzione de "La Terra del Rimorso" di Enrico De Martino, in cui lo studioso, da marxista, lamentava lo smarrimento della tradizione magica popolare, delegata unicamente alla acquisizione della Chiesa. A te che provieni da terre pregne di cultura magica, chiedo: quanto la cucina è alchimia?

DP E' alchemica e messianica. C'è un elemento mistico, ma nel senso profondamente umano. Non c'è niente di metafisico, né di religioso, nella misura in cui il termine religioso implica una delega a qualcun altro.


CZ Certo, magari nel significato  etimologico (da "rilegare", unire) che è molto più bello.


DP ...nel senso di dimensione irrazionale, assolutamente si. La cucina è completamente irrazionale...chiedi una ricetta a una signora, è un suicidio!! Non ti dà mai una dose precisa...una volta a Palermo chiesi a una signora una ricetta che era qualcosa di sconvolgente, lei mi rispose: "Me la sono sognata stanotte!" E quindi non sapeva dirmi nulla...


CZ Ci vorrebbe Jung...il regno della pura intuizione!


DP..e li ti rendi conto che si tratta di una dimensione irrazionale, e consapevole allo stesso tempo, in cui c'è una conoscenza ancestrale di gesti antichissimi ma insieme c'è qualcosa che può accadere solo in quel momento preciso. Un elemento emotivo che, tra l'altro, si collega al fatto che stai cucinando anche per gli altri. C'è questo elemento affettivo che rende quel piatto (teoricamente realizzato da una mera serie di gesti e ingredienti) qualcosa di completamente irrazionale e profondamente umano. Mai riproducibile nello stesso modo. Quindi, in questo senso, alchemico.




Per me ormai è come il "Libretto Rosso"


CZ Credo potrei scrivere un articolo a riguardo più lungo di quello su Dylan...mi vengono in mente McEnroe nel tennis, o Baudelaire in poesia...superare la forma attraverso la perfetta conoscenza della forma stessa...trascendere le costrizioni della forma attraverso il perfetto dominio della prassi...


DP Infatti, McEnroe non l'ha mai detto, ma insieme a Coltrane ha mangiato la parmigiana di mia nonna (grande leitmotiv del libro NdT)...prima delle più grandi vittorie mangiava sempre la parmigiana di mia nonna...per lui era come la banana di Chang...



CZ AHAHHA...Non mi ricordo invece quale giocatore una volta agli Internazionali di Roma stava per vincere con Federer tipo per la prima e unica volta...e si dovette ritirare per indigestione da straccetti hahahah---


DP hahahahahahah!!!


CZ Ora, affrontiamo il cuore del libro: questa bellissima intuizione di accostare ricette ad artisti musicali (già ti aspetti la domanda che ti farò ovviamente...)...vorrei che ci parlassi della cucina come sinfonia! Non solo la ricetta, ma proprio la gestualità del cuoco (c'è un brano bellissimo nel libro quando descrivi il parmigiano che scende dall'alto come neve, quasi come manna...). Quanto c'è di artistico e di "compositivo" nella cucina?


DP Beh, certo, sicuramente l'elemento sinfonico è nei passaggi, nelle diverse fasi...


CZ Infatti, il libro stesso è costruito, ritmato quasi, sui movimenti di una sinfonia...


DP Esatto. Dal momento dell'acquistare, anzi, dal momento di pensare cosa cucinare. Poi, il momento dell'acquistare, e quindi il cambiamento improvviso, perché non trovi l'ingrediente che ti serve. Poi, il momento del cucinare, e il momento dell'offrire. Già questa è una sinfonia. All'interno di ogni movimento c'è una serie di momenti emotivi, quindi è sinfonica perché ogni momento ti porta a vivere un differente stato d'animo.Quando ho cominciato a parlare di cucina e musica mi riferivo soprattutto all'atto del cucinare e non del consumare. E poi c'è l'altra sotto-sinfonia che sono: antipasto, primo, secondo e dolce.


CZ L'antipasto è l'ouverture...


DP Rappresentano degli stati emozionali che cambiano radicalmente...


CZ Sempre collegato al discorso alchemico, è come se fossero le diverse fasi dell'Opera...


DP L'antipasto di fritto è "Allegro", poi viene ovviamente il "Largo"...


CZ Un elemento per me di grande interesse, collegato sempre al discorso della cucina come superamento delle identità regionali, è il fatto che tu colleghi i piatti della tradizione nostrana ad artisti in realtà di tutte le culture e i paesi (...splendida la citazione ad esempio del grande Nusrat Fateh Ali Khan). Le tue origini sono nel Salento, Carmelo Bene parlava di "bisticcio etnico" a riguardo (lo trovate QUI). Tu pensi ci sia una ricchezza (al di là degli abusati luoghi comuni) costitutiva, etnicamente, che possa ispirare una forma mentis come la tua, capace di tali associazioni per me intuitive, ma per molti magari assurde...





DP La domanda è bella, e me la sono posta tante volte. Teoricamente, il Salento è un luogo arretrato, di destra, così è sempre stato. Mi cambiò completamente l'opinione del Salento, lo racconto nel libro, quando ci fu l'arrivo degli albanesi. Un momento drammatico, in cui al contrario del Nord è già di per sé una minaccia a prescindere, per noi la prima reazione è stata il gesto dell'offrire: "Questi stanno arrivando dopo un viaggio allucinante...diamogli da mangiare, poi vediamo che succede!" . Non ci si è posti proprio il problema. Parlando con un leghista, col quale teoricamente ci si poteva parlare, rimasi sconvolto, compresi il concetto dei gesti ancestrali fra i cattolici...


CZ Infatti, deriva dalla Magna Grecia, ancora prima dall'India, l'idea che l'ospite è sacro, perché in esso può celarsi il dio...


DP Esatto. Leggendo l'"Odissea" infatti mi sono reso conto che ad ogni tappa del suo viaggio ad Ulisse offrono le braciole,  lo accolgono un canto e del vino. Questo aspetto è profondamente radicato in Salento. La caratterizzazione del Salento fondamentalmente è quella di un'isola abbandonata, sottosviluppata, ci si impiegavano ore per arrivarci, in un'arretratezza devastante. Questo ha favorito il mantenimento di codici ancestrali, antropologicamente immutati, al contrario di altri luoghi che li hanno smarriti nello sviluppo. Questo ha creato il corto-circuito rispetto alla contemporaneità: nel momento in cui la contemporaneità non sa rispondere a determinate dinamiche, ti rendi conto che nei meccanismi ancestrali si risponde in maniera equilibrata.


CZ Certo, poiché è una saggezza eterna. Quindi, è sempre attuale.


DP Ed è di tutti. Non è che il fascista non ce l'ha. E' pre-politica e pre-cattolica. Il che rende questa zona particolare. Chiaramente, luogo di mare, luogo di invasioni...non so dire se c'è un discorso culturale, di sovrastrutture che si siano create, ma sicuramente la persona che arriva non è considerata un nemico. Anche l'invasore, a un certo punto t'insegna qualcosa. Non so perché, ma è un popolo tollerante. Tollerante perché curioso. Il mio lavoro nasce proprio dall'attitudine di non porsi il problema di una cosa, prima che avvenga. Ciò che in Maghreb esprimono con "Inch'Allah!".


CZ Arriviamo alla domanda clou...

...noi ci siamo conosciuti tramite Laura Cionci (di cui abbiamo parlato QUI )e al mio delirio fluviale su Dylan...tu lo citi nella prefazione, però nel libro manca una ricetta su di lui...Ora è vero che come correttamente illustrato in "I'm not there" Dylan è una Sfinge dai numerosi aspetti, non so se puoi riassumerlo in una ricetta...a quale piatto istintivamente lo assoceresti? Puoi anche dividerlo in periodi, se vuoi...prima e dopo la svolta elettrica etc...

DP Hahahahahhaha! Premetto che stava nei primi due libri: in "Food Sound System" e in "Wine Sound System". Nel primo lo associavo al risotto con gli asparagi selvatici. "Blowin' in the Wind" diventava ovviamente "Blowin' in the Wine"! Ci tengo a dire questo: cosa mi rende assolutamente folle riguardo Dylan? Innanzitutto che qualsiasi musicista successivo negli anni'60 e '70 lo considerava una sorta di divinità..


CZ ESATTO! Lo dico sempre...


DP Jimi Hendrix...





CZ John Lennon...





DP I Rolling Stones...





CZ e DP in coro: TUTTI!


DP ...ma anche nei gruppi garage, tutti facevano le cover di Bob Dylan...ha sconvolto la Storia... ma perché non gli danno il Nobel?!


CZ Ma infatti la cosa che dico sempre quando parlo della grandezza unica di Dylan è: non è che lo dico io!!!  Tutti i più grandi dicono che lui è il più grande. Magari, a uno può piacere più, che so, Neil Young o Leonard Cohen, ma che lui sia il Cantautore Padre è oggettivo.


DP E' come Omero.


CZ Fernanda Pivano diceva: "è l'Omero del XX° secolo".


DP Una cosa che spiega benissimo il senso del lavoro è alla fine di "I'm not there"...si mostra tutto il tempo quanto lui abbia lottato contro il ruolo di "Salvatore della Tradizione" al quale era stato relegato...lui dice una cosa che ogni volta che lo vedo piango: non puoi salvare la Tradizione, è la Tradizione che salva te, perché è un movimento popolare, irrazionale che per raccontarti ti parla, ora non ricordo esattamente, degli orologi come cocomeri...la musica tradizionale non ha bisogno di essere protetta, è sacra. Ma è sacra nel movimento intimo delle persone (QUI trovate il brano alla fine della pagina in inglese), e quindi lui che fu al contempo il più grande scopritore e il più grande violentatore della tradizione


CZ Proprio il profanatore del Tempio a Newport...







DP...esatto, per me quello è stata la più grande lezione sul senso del mio lavoro. A me una volta chiesero di fare un lavoro sulla tradizione salentina, e per me i Sud Sound System sono la più grande esperienza a riguardo, proprio perché la pizzica era scomparsa, e attraverso di essi che mettevano gli stornelli sul Ragamuffin' si riscoprì completamente l'orgoglio e la coscienza del popolo. Ancora una volta, l'elemento democratico dell'oralità, come del cibo. Per me oralità e cibo fanno parte di questa sapienza democratica e popolare.

Quindi, Dylan diceva in fondo non c'è proprio bisogno di parlare di Tradizione, la Tradizione è nei fatti. Il pericolo, chiaro, è quando si rompe, ma l'oratore, il raccontatore della Tradizione per forza di cose deve discostarsi da essa, per poterla raccontare. Ma ce l'ha dentro, è qualcosa che si tramanda attraverso il movimento intimo delle persone. Quel  bellissimo discorso di Dylan mi permise molto di pormi di fronte alla Tradizione in modo sano e onesto.
Io devo tutto alla Tradizione, e proprio per questo posso mischiarla.

CZ Comprendo perfettamente.





DP Come ricetta: per la prima parte della sua storia secondo me era corretto il risotto con gli asparagi selvatici, un piatto buffo. Teoricamente il risotto sappiamo è del Nord, ma gli asparagi selvatici hanno per me una storia familiare molto buffa. Mia nonna, come ogni autentico raccoglitore di asparagi, non rivela il luogo della raccolta, deve rimanere segreto. A un certo punto, per arrampicarsi, scivolò e si ruppe una caviglia , ma pur di non rivelare il posto tornò a casa con la caviglia rotta. E là fu obbligata a 80 anni a prendersi un cellulare, ma la cosa impotante era non rivelare il posto segreto. Quindi, il risotto con gli asparagi è la cosa più tradizionale in quanto assolutamente selvaggio...il primo Dylan era brutale, era la perfezione della semplicità...


CZ La spontaneità assoluta...


DP Spontaneità, ma di una perfezione assoluta...l'equilibrio, il risotto con gli asparagi è delicatissimo, quindi bisogna lavorare molto sugli equilibri, che sono infinitesimi...e che Dylan era in grado magnificamente di gestire, una macchina perfetta a partire da niente...


CZ Due accordi, una voce "stonata"...


DP Uno che "non sapeva cantare" ed è diventato il più importante dei cantanti...la seconda fase, che è altrettanto importante..."Like a Rolling Stone" è qualcosa di sconvolgente per l'umanità intera!...(prende tempo per riflettere)....qui ci devo mettere del meticciato...è poi una canzone lunga...direi la Scapece, le sarde alla scapece...una versione delle sarde in saor, in ogni nazione mediterranea c'è questa parola, che tra parentesi è ebraica, in cui per conservare il piatto, intanto friggi, poi metti aceto, pane vecchio, zafferano, quindi ci sono tutte le regole fondamentali: il meticciato, la conservazione, la frittura...hai la sintesi dell'umanità, e quindi della musica...e quindi Bob Dylan. Qualcosa di assolutamente meticcio e assolutamente antico. Come "Like a Rolling Stone". Non è che Dylan avesse dimenticato la Tradizione, ci stava assolutamente dentro, cambiava semmai la forma, nell'essenza ribadiva di essere sempre se stesso.






CZ Infatti, Johhny Cash, alfiere e custode della Tradizione, diceva di non rompergli le scatole, "il ragazzo sa quel che fa" (QUI trovate le sue celebri e splendide parole sul giovane Dylan)


DP Appunto. Ma perché nel fondo non c'era nessuna rottura. Era la gente che era pazza, erano fanatici in maniera surreale, come si può vedere. E' anche vero che lui aveva talmente scombussolato l'identità delle persone che questi lo vedevano come un dio in terra. Ma era un problema loro, non era un problema suo.

CZ Esatto.


DP ...E quindi la Scapece mi piace perché è tradizionale e meticcia, popolare e raffinata allo stesso tempo, è rock e molto complessa, come appunto le sarde in saor, la pasta con le sarde siciliana... ci sono equilibri interni che raccontano tutta la storia dell'umanità.


CZ Già che ci siamo: Bowie come lo cucineresti?


DP Ti confesso di non essere un grande grande amante di Bowie, ho sempre avuto un rapporto un pò conflittuale...per carità un genio, ma l'ho cominciato a conoscere tardi, venivo dal punk, era troppo "raffinato" per me...più andavo avanti però mi rendevo conto che era un genio assoluto, troppo complesso rispetto al mio gusto...quindi l'ho sempre visto come un'amante, non una relazione stabile, ma contrastata...mentre adesso ho cambiato i miei gusti, li ho sviluppati, quindi quando ascolto Bowie dico solo: "E' meraviglioso!" . Allora, direi ovviamente una cosa raffinata. Vivo a Tolosa, la patria dell'anatra, anche questo piatto che nasce popolare. Ricordiamoci che Bowie è un raffinato ma non "fighetto", anch'egli a suo modo punk, ribelle...


CZ Beh, con "Rebel, Rebel" ha scritto proprio l'inno di quella generazione, anche se in anticipo...




DP L'anatra, al contrario di quello che si possa pensare, è assolutamente un  piatto popolare, è il piatto più povero che si possa pensare. Tra l'altro, l'anatra si cucina nel suo grasso, che è leggerissimo in realtà. Anatra, ovviamente all'arancia, che è un piatto complicatissimo da realizzare, ma io lo faccio così: conservo un pò di grasso dove cucinarla, ci metto delle scorze di arancio (trucco che ho imparato in Maghreb), taglio in fettine molto fine e cuocio nel succo di arancia. Secondo me è allo stesso tempo dolce e amaro, si sentono proprio basso e batteria forti...


CZ Bowie classico anni'70, con Mick Ronson...


DP Si, Bowie anni '70. Un piatto rock, ma elegante, sobrio, solido, nel senso vero, con alla base basso e batteria.


(In questo momento nel bar appare Laura Cionci!!! Effetto "Carramba che sorpresa!" I due non si vedevano da dieci anni....)




Mi appoggio a due colonne: Laura Cionci e Don Pasta




CZ A questo punto domanda obbligatoria. Tu hai deciso di trasferirti a Tolosa. Come vivi questo tuo essere esule, con rimpianto o convinzione?


DP Lo vivo in maniera drammatica e conflittuale. In realtà, è un piccolo esilio, non ho problemi drammatici...ma come dire: me rode er culo!

L'esempio emblematico è "Soul Food", avevamo fatto un lavoro lunghissimo per parlare di resistenza attraverso l'agricoltura, realizzando progetti importanti, l'anno scorso portando detenuti a cucinare fuori durante le "cene carbonare", etc... Al di là degli artisti prestigiosi che hanno partecipato, non ci hanno mai dato un finanziamento, non ci hanno mai cercato..

CZ In Italia, dici...


DP In Italia. Come se non esistessimo. Come se non fosse un progetto, non dico importante, ma culturalmente e socialmente utile. Questa è la ragione per cui me ne sto in Francia, perché in Francia come succede ogni volta un progetto così me lo finanziano! E questo mi permette di vivere in maniera coerente il rapporto fra arte e società. Per la cultura francese è fondamentale che gli artisti possano vivere in maniera coerente la loro dimensione e portare i dilemmi attorno al rapporto tra arte e società

In Italia, non gliene frega niente. Ogni soldo viene speso all'interno di un sistema di clientele, a destra come a sinistra, quindi il dramma è che me ne devo stare in Francia, perché qui non si possono fare lavori seri e svilupparli serenamente. Mi manca tantissimo l'Italia.
Quando faccio le cose in carcere in Francia mi pagano, qui lo fai se hai voglia di farlo, solo l'idea che un artista possa dare il suo contributo e campare di questo onestamente qui è una barzelletta. Non si pongono proprio il discorso: soldi = bene pubblico, soldi = strumento per far bene alla comunità. Si è rotto proprio il meccanismo. In Francia, devo dire, il soldo pubblico per la cultura serve per sostenere democraticamente la comunità.

CZ Il paradosso evidente è che i paesi culla della cultura europea, Grecia e dopo Italia, sono quelli che investono meno nella cultura, e non a caso soffrono economicamente. Il paradosso più osceno.


DP Quindi, l'esilio lo vivo male. Il mio lavoro è legato alla cultura popolare italiana. Lo spettacolo sulla parmigiana in Italia me lo ha finanziato l'ambasciata di Francia!!!


CZ In Italia?


DP A me il tour in Italia me lo ha finanziato l'ambasciata francese! E stavo male, non me lo sono goduto per niente. Per loro è normale, attraverso il finanziamento pubblico tu usi soldi per creare bellezza per tutti. Alla Provincia di Roma, con tutti gli assessori presenti alla manifestazione, niente.


CZ Ultima domanda, chiudiamo in allegria.

Ma la famosa foto col pugno chiuso e la presina...è un omaggio a Frank Zappa?




DP CERTO!!







Abbracci, commozione, esplosione d'amore fraterno!




Concludiamo con un brano indimenticabile del libro, che per noi, è proprio il caso di dirlo, ha il sapore di un manifesto: "Abbiamo bisogno di spiriti insoddisfatti dai realismi. Di barattoli conservati a bagnomaria, senza bisogno di microonde. Mettiamo a disposizione il nostro savoir faire. Esperti e pluridiplomati in cazzeggio.

...Siamo paladini della chiacchiera inutile. Siamo il partito degli occhi rivolti verso il cielo.
Siate carbonari sino in fondo. Esercitatevi alla perdita del tempo.
E soprattutto, strutto, strutto, strutto.
Votate Donpasta!"

Finalmente, un candidato degno di rappresentarmi!