domenica 4 agosto 2013

La Magia della Fiaba - Conversazioni con Daniele Capuano sul significato esoterico delle fiabe SECONDA PARTE




"La scala di Giacobbe" di William Blake
Avevo intenzione di pubblicare la seconda parte a settembre, ma considerato il sorprendente seguito di questo post, a grande richiesta continuiamo da dove eravamo rimasti ....

DC: Il primo dono che tutte le fiabe danno, tutte le grandi e umili fiabe che sono reperibili nelle raccolte di cui parlavamo, anche le fiabe letterarie migliori degli ultimi secoli, il dono di ogni fiaba è quello di poter essere letta, come i testi sacri, a diversi livelli. Fra le offerte più grandi che ogni fiaba fa c’è la possibilità innanzitutto di una lettura ermetica, cioè alchemica. Non c’è quasi fiaba che sfugga a quell’itinerario quintessenziale che è appunto l’itinerario della Materia, intesa però alla maniera antica, come pregna di vita e quale manifestazione divina. Poi c’è una lettura astrologica, che è poco frequentata perché l’astrologia è diventata ormai quasi del tutto “giudiziaria”, come avrebbero detto nel Rinascimento, cioè una pseudo-scienza deterministica in cui si cercano di solito conferme o alibi al proprio carattere...

CZ: L’astrologia indiana, per tornare a confronti precedenti, è invece un oceano di rivelazioni davvero illuminanti.

DC: Beh, l’India ha conservato intatti quasi tutti i legami con la sapienza antica. Non è un caso, il grande libro di  Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend Il Mulino di Amleto, ci mostra proprio come la cultura neolitica...




CZ: ...avesse iniziato il processo di elaborazione del mito come “scienza esatta”.

DC: Esatto. C’è poi la lettura mistica. Le fiabe più grandi sono senza dubbio un itinerario mistico, che può essere dotato di una trasparenza quasi liturgica, come ad esempio nel caso di Raperonzolo, Il Ramo d’Oro di Madame d’Aulnoy, o La Bella e la Bestia. Oppure questo può essere velato sotto il grande tema, popolare e arcano insieme, dell’ermetismo inteso nel senso di mercurialità. Quella capacità di cogliere l’opportunità al di là di ogni ristretto moralismo (il che ovviamente non significa immoralismo).
Penso al Gatto con gli stivali, penso alle tante favole della tradizione araba accolte nella grande cornice de Le Mille e una notte.


Illustrazione per "LeMille e una notte": la Principessa narra al Sultano.


CZ: Un’attitudine che ritorna, magari depauperata di questa ricchezza di significati ermetici, anche in Boccaccio.

DC: Certo. Lì c’è il più piacere di godere della burla riuscita. Però sicuramente nel piacere di novellare…

CZ: Sì, è più un’attitudine pre-rinascimentale che di derivazione sapienziale.

DC: …fai bene a vedere la continuità, sicuramente nella fiaba classica la figura del protagonista di solito è un ragazzo di poche doti, o almeno è considerato tale, una persona “stupida” ma proprio per questo aperta allo stupore. Spesso i genitori lo considerano un buono a nulla, vogliono liberarsene, a volte è un deforme (perché troppo piccolino come Pollicino, o perché nato con dei difetti fisici troppo pronunciati, come Enrichetto dal ciuffo). Tuttavia, questa sua “indefinibilità” sociale (questa inafferrabilità affine a quella del Mercurio come ‘elemento’ alchemico) lo rende spesso un candidato alle virtù apparentemente meno mistiche, ma che in realtà sono metafora perfetta delle stesse. Un certo opportunismo, inteso come capacità di cogliere il kairòs ...

CZ: Il celeberrimo carpe diem nel senso più alto...

DC: Sì, sappiamo che la Bibbia, che è un testo sacro sul quale si possono dire tante cose, nel bene e nel male, ha esempi in questo senso...

CZ: L’‘opportunismo’ con cui Matteo riconosce Gesù nel momento della conversione, come magnificamente immortalato dal Caravaggio...


"La Vocazione di S.Matteo" del Caravaggio, nella Cappella Contarelli di S.Luigi dei Francesi a Roma


DC: Certo, oppure con cui Giacobbe truffa il fratello, che non è una cosa da prendere ad esempio,  ma è sicuramente un gesto carico di una saggezza difficile da cogliere all’inizio, per una persona ingenua. Ora, per non arrivare a modelli così santificati dall’esperienza religiosa, penso al già citato Gatto con gli stivaliUna fiaba  in cui l’essere mercuriale per eccellenza, il felino, trae dal nulla, soltanto con le proprie parole, la potenza e il prestigio di un povero disgraziato, appunto il proprio padrone che non aveva nient’altro che lui, lo fa passare per un grande gentiluomo, per un potente, truffa l’Orco con un trucco che conosciamo anche nella favolistica araba, cioè ne stimola la vanità di essere potentissimo, fisicamente e psicologicamente, ma con un’unica tara. Gli dice: “Scommetto che, con tutte le tue doti, non sei capace di diventare piccolo come un topolino”... e sappiamo qual è l’esito...



"L'incontro di Giacobbe ed Esaù" di Francesco Hayez

CZ: Ed è illuminante, parlando di mercurialità, ricordare come questo sia uno dei poteri di Shri Hanumana, l’archetipo induista del messaggero angelico, da cui culturalmente derivano appunto Hermes e Mercurio... egli ha il potere di diventare infinitamente grande o infinitamente piccolo, perché rappresenta il controllo sull’azione, e soprattutto, essendo il messaggero fedele ed assolutamente devoto a Dio (in questo caso nell’aspetto di Shri Rama), è affrancato dalla vanità.


Una rappresentazione classica di Shri Hanumana


DC: Esatto, questo è il punto.

CZ: Il suo ego si identifica con l’Ego (nel senso di Volontà) di Dio.


il "Mercurio" del Giambologna


DC: Infatti, la défaillance dell’Orco consiste non nel non poter diventare infinitamente piccolo, ma nel cedere alla propria vanità, alla tentazione della prova che gli impone il gatto. Non a caso gli suggerisce di diventare un topolino… Un caduta alla quale Hanumana durante un combattimento magico probabilmente non si sarebbe mai sottoposto... Ecco, questa grande trasparenza archetipica della fiaba, che può essere velata anche da questi doni di un ermetismo più popolare: ma c’è anche un altro dono. Un dono che a me non sembra trascurabile, soprattutto di questi tempi, anche se è difficile da cogliere e da ricevere, che è la sua grande assenza di sentimentalismo. Strano a dirsi, perché spesso si percepiscono le fiabe come...

CZ: ...qualcosa di stucchevole...

DC: Esatto, come un mondo tutto rosa, in cui tutto finisce sempre bene...una sorta di interpretazione hollywoodiana o disneyana delle fiabe che non a  caso è un atteggiamento tipicamente novecentesco e contemporaneo, ma già affiorava nel secolo precedente, col suo culto della durezza e degli affari etc...
È singolare, invece, come chiunque legga le fiabe con un minimo di onestà, non dico di attenzione, semplicemente leggendo quello che dicono, letteralmente si accorge di come esse siano una forma di educazione alla vita così com’è. Alla sua crudeltà, alla crudeltà del desiderio ad esempio. Quante fiabe iniziano con un Re che non riesce ad avere figli, ed inventa qualsiasi artificio, anche illecito e vergognoso, pur di averli. Quante fiabe non nascono con una voglia, con un capriccio, con qualcosa di profondamente umano e profondamente onesto, da ammettere. Quante fiabe non ci insegnano, come lo stesso Pinocchio, a diffidare della giustizia umana: Pinocchio finisce in galera perché è stato derubato, e ne esce ammettendo di essere un malandrino, perché c’è l’amnistia. Quindi, ecco, quante fiabe, quasi tutte, non ci insegnano, anzi, ci insegnano! senza un briciolo di sentimentalismo, a vedere la vita cosi com’è…

CZ: E, invece, paradossalmente, quando si dice “fiabesco” si intende il contrario. Le fiabe mostrano il volto duro e per nulla edulcorato o zuccheroso della vita.


Illustrazione originale de "Le avventure di Pinocchio" di Carlo Collodi



DC: Diciamo che mostrano tutto, e mostrando tutto mostrano sia le strade polverose su cui ai ragazzi un po’ sciocchi, o che imparano a loro spese la saggezza, succede di tutto, anche cose terribili come essere fatti prigionieri da qualche antropofago o da qualche altro innominabile personaggio... ma insegna, ripeto, anche la capacità di vedere le fate, di scalare fagioli magici e di arrivare a palazzi incantati dominati da orchi che, alla fine, mostrano sempre il loro punto debole... perché ce n’è sempre qualcuno che ne sa una più del Diavolo, in particolare sua Nonna, come ci insegna una fiaba famosa dei Grimm. Da tutti i punti di vista le fiabe sono un insegnamento talmente prezioso che consegnarne una qualunque, possibilmente fra le grandi, ad un bambino, significa veramente dargli, come dicevo all’inizio, l’ultimo vestigio, l’ultima traccia di una civiltà tradizionale, in giorni in cui quasi tutto congiura per distoglierci sia da questa chiarezza – spietata – di sguardo, che da questa apertura, carica di stupore, nei confronti di quella dimensione immaginale che sta “tra” il cielo e la terra, che non è né il mondo duro dei cosiddetti, sottolineo cosiddetti, “fatti”, né il mondo etereo e astratto, apparentemente, del puro Spirito.




2 commenti:

  1. A me pare che si sia persa, nel precedente e in questo secolo, la volontà ermetica nella cultura, è come se dopo la seconda guerra mondiale ci fosse stata una spinta propulsiva verso l'univocità del messaggio, un secolo che non vuole fraintendimenti né tantomeno interpretazioni.

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  2. Caro Werther, è esattamente cosi. Ti rispondo da Praga, quindi sorge obbligatorio ricordare le parole di Kafka, per il quale, vado a memoria, nell'età moderna non esiste più il mistero, ma solo istruzioni per l'uso.

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