mercoledì 25 febbraio 2015

S.La Nave di Teseo - un affascinante feticcio della metanarrativa



S.La Nave di Teseo è un'intuizione geniale, realizzata in grande stile.
Il progetto (ideato dallo sfrontato illusionista J.J. Abrams e  impeccabilmente messo su carta da Doug Dorst) è irresistibilmente seducente: all'interno di un elegante cofanetto, il lettore trova quello che ha tutto l'aspetto di un libro preso in prestito in una biblioteca, pieno di sottolineature, timbri, diversi strati di appunti, cartoline, articoli ritagliati e ricerche parallele.
Il libro (fittizio) è del misterioso autore W.K. Straka, contemporaneo e rivale di Hemingway, autore di una serie di best-seller (negli anni della Lost Generation fino a dopo la seconda guerra mondiale), tutti uniti dalla singolare caratteristica di non presentare nessun apparato critico, né introduzione né note esplicative, a corredarne il nudo testo.
Tutti tranne l'ultimo, quello che appunto ci ritroviamo fra le mani, che è aperto da un'inquietante e ambigua introduzione da parte del traduttore F.X.Caldeira, sul quale non si hanno notizie, il quale, non contento, ha disseminato il libro di note al testo apparentemente inutili e insensate.
Nell'introduzione si accenna al fatto che il libro è rimasto incompiuto, proprio nelle ultimissime pagine, a causa della improvvisa, oscura scomparsa dell'autore.
Come ha più volte ripetuto la curatrice Francesca Martucci durante l'incontro alla Casa delle Traduzioni di Roma (QUI un resoconto), già il libro in sé (La nave di Teseo di Straka) è una lettura che vale il prezzo dell'edizione. E ha ragione, poiché la mimesi dello stile febbrile e visionario dei grandi autori inglesi e americani (da Conrad a Melville al citato Hemingway) è invero magistrale.


Ma rimaniamo nella finzione, siamo solo al primo livello di lettura di questo complesso incastro letterario.
Oltre a quella narrata del libro, presto si intuisce che la vera storia, la narrazione ulteriore e risolutiva, è quella che si può delineare studiando a fondo le note e soprattutto gli appunti presi, in varie fasi, da due accaniti lettori, Jen ed Eric (la bilbiotecaria e lo studente innamorato del libro).
Guidati dalla passione per la lettura e il gusto dell'avventura tipicamente adolescenziali, i due arriveranno a scoprire la chiave per decifrare i misteri nascosti nel codice del testo riguardo l'identità dell'autore e il vero significato del libro.


A noi lettori non rimane che immergerci in questo mastodontico ed avvincente rompicapo per ricostruire e interpretare il percorso di scoperta dei due lettori/protagonisti.
Se ci può consolare, allo stesso gioco interpretativo sono state sottoposte le curatrici per realizzare la versione italiane del libro!
Ma non ci troviamo soltanto davanti a un affascinante labirinto narrativo.
L'oggetto in sé è un gioiello cartotecnico destinato a scatenare lo sfrenato feticismo dei bibliomani.
Senza dubbio, è un'operazione romantica quanto furba (consueto connubio nel perfetto tempismo del producer Abrams) tributare un tale monumentale atto d'amore al libro in quanto oggetto cartaceo nell'era dei Kindle e degli e-book, in cui quotidianamente si annuncia che la stampa è destinata a scomparire.

Sia lode, quindi, alla traduttrice Enrica Budetta e alle curatrici Francesca Martucci ed Elisabetta Sedda (Rizzoli Lizard) che hanno svolto un lavoro immenso per farci godere in italiano di questo prodigio cartotecnico e metanarrativo.
Pensate solo a cosa può significare tradurre in italiano un testo fondato su giochi di parole e codici enigmistici in inglese.
Pensate a quanto, a traduzione effettuata, si sia dovuto lavorare sul testo per renderlo compatibile con le esigenze del gioco narrativo (ad ogni capitolo corrisponde un oggetto rivelatore e un codice da decifrare, come per intenderci se fossero i quadri di un videogioco).
Sia giusto plauso  anche allo Studio Nora di Vincenzo Filosa e Giusy Noce per il prezioso lavoro di lettering, in grado di restituire (pur disponendo di una strumentazione tecnica inferiore rispetto ai colleghi americani) lo stesso effetto realistico degli appunti presi dai lettori protagonisti che possiamo apprezzare nell'edizione originale.
Senza il grande sforzo creativo di tutti loro, compiuto in tempi relativamente brevi, non staremmo oggi vivendo, insonni e deliziati, ore e ore di appassionante lettura notturna,


Indubbiamente, il libro è intrigante quanto impegnativo.
Ma per chi si sta rivedendo, con scrupolo da talmudista, per la quarta volta la serie Lost,  annotandone  gli evidenti difetti, ma anche riscoprendone il miracolo di gestione narrativa delle stagioni centrali (che si infrange un po' goffamente nell'ultima), la sfida non appare certo sorprendente.
Il libro sembra progettato scientemente per destare il daimon della lettura e della filologia nei lettori occasionali: per chi ci convive dalla nascita  è come avere ingressi illimitati a un parco giochi intellettuale.
Certo, il rischio è quello presente in ogni creazione di J.J.Abrams: ovvero che il gusto della moltiplicazione metanarrativa diventi eccessivo fino alla nausea, che il filo complicatissimo dei rimandi esterni e dei collegamenti interni si ingarbugli fino a strozzare la genialità dell'idea originale, costringendo a riempire vistose falle narrative col ricorso disperato a stereotipi di comodo.
Siamo ancora visitati nei nostri peggiori incubi da Dogen, l'impresentabile guardiano del Tempio di Jacob nella sesta serie di Lost, una costellazione di banalità da record concentrata in un solo personaggio dalle poche, intollerabili battute. Un personaggio che in quel momento della storia (talmente atteso dal pubblico che Barack Obama spostò il proprio discorso per evitare che gli americani guardassero lo show)  teoricamente avrebbe dovuto  rappresentare il custode dei Misteri dell'Isola.
Una coltellata vibrata a tradimento al cuore, dopo gli indimenticabili incontri con John Locke e Benjamin Linus nelle serie precedenti.

Per ora il libro è esaltante (siamo al secondo capitolo).
Lo stiamo divorando con la foga d' un bulimico, reduce da un digiuno forzato di un mese, di fronte a un banchetto nuziale,
Ne parleremo sicuramente molto presto, con la mania filologica che siamo ormai d'uso infliggervi.
Ora lasciateci gioire, smarriti nel gioco ipertestuale, come un bimbo rapito dal balocco dei suoi sogni.

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