giovedì 30 luglio 2015

DYLAN DOG "BLACKSTAGE"- Di Saggi e di Innamorati



Quando da ragazzino, pressoché dodicenne, lessi i primi versi di  Charles Baudelaire su Dylan Dog (prima illuminazione della mia vita), non avrei mai pensato che un giorno avrei potuto raccontare quell'esperienza su un catalogo dedicato alla testata.
Grazie dunque al curatore Marco Nucci per avermi invitato a collaborare, soprattutto per avermi lasciato completa libertà nella mia testimonianza (il mio rapporto con DD è di amore/odio).
Ecco di seguito, quindi, il mio contributo al catalogo 2015 Dylan Dog Blackstage, prodotto dall'Associazione Culturale Officina>15.
Buona lettura

P.S.
Tale era l'emozione che mella stampa è rimasto un refuso (il numero menzionato, La Clessidra di Pietra, è il 58 e non il 63, come corretto nel testo in calce).

P.P.S.
Il catalogo (impreziosito da interventi di Bacilieri, Ambrosini, Nanni Cobretti, Nicola Mari,Paola Barbato, Bilotta, Grassani, Montanari, oltre ovviamente ai curatori della testata, e molti altri che potete leggere nella foto) si può ordinare QUI.

P.P.P.S.
La citazione evocata dal titolo è ovviamente di Bob Dylan, tratta da una considerazione su Joan Baez nel documentario di Martin Scorsese NO DIRECTION HOME.






DI SAGGI E INNAMORATI


Dylan Dog per me è stato il primo amore, col quale in seguito ho litigato furiosamente, ma che ora posso incontrare come un vecchio amico che mi conosce bene.
Dunque, questo non è un canto celebrativo, ma una confessione sincera, dacché la sincerità è il tributo più alto che si possa tributare all'amicizia che ci lega con i compagni di una vita.

A 11 lessi i miei primi versi di Charles Baudelaire. La strofa centrale di Elevatìon:"Fuggi lontano da questi morbosi miasmi,/ vola a purificarti nell'aria superiore, e bevi, come un puro e celestiale liquore, / il chiaro fuoco che colma i limpidi spazi." Quell'invito semplice e sublime agì sulla mia svanente innocenza come il più potente dei mantra. Decisi di dedicare la mia vita alla ricerca spirituale, di sputare sulle convenzioni sociali, di sprezzare fatiche e ambizioni sociali, per votarmi unicamente a quell'unico supremo obiettivo. Tutto era vano e inutile, a meno che mi avesse condotto a realizzare la promessa di quei versi. La mia vita aveva un senso, quello di dissetarmi di Bellezza e nutrirmi di Verità. Lessi quei versi su un albo di Dylan Dog, il numero 58, La clessidra di pietra (Chiaverotti/Roi). Ho recentemente avuto occasione di ringraziare in privato lo sceneggiatore Claudio Chiaverotti per aver inserito quella citazione lo faccio ora pubblicamente.

Per una mente inquieta, che dal selvaggio stupore dell'infanzia approdava al confuso fermento dell'adolescenza, Dylan Dog fu una delle porte regali, direbbe Florenskij, della ricerca interiore. Sfogliando le pagine fragranti di nera meditazione dei primi albi, la mia immaginazione fu accompagnata a smarrirsi nei disperanti labirinti kafkiani, nelle cattedrali borgesiane delle infinite possibilità, nell'occulta illuminazione dei versi di Blake. Attendevo ogni nuova storia come un iniziato attende sulla soglia della loggia il comandamento rituale da eseguire. Arrivai al punto di vestirmi come Dylan, cercando nei mercatini dell'usato giacche nere e camicie rosse più possibilmente fedeli al vestiario del personaggio. La passione era tale da trasfigurarsi nella più ingenua delle identificazioni.





Ma cominciando a frequentare le alti voci della letteratura, le mie inclinazioni si elevarono, i gusti si raffinarono, il palato intellettuale s'abituò al nettare.
Quello che segue non è un giudizio critico, è la testimonianza di un'esperienza emotiva, e come confessa il sommo cantore americano che dà il nome al Nostro: "non si può essere saggi e innamorati allo stesso tempo". Come eccessiva era stata l'esaltazione, così bruciante fu il distacco. Del resto, per un ragazzino è difficile avere l'equilibrio di un pensatore stoico: tutto è emozione, intuizione, scoperta tremante, amore o avversione, passione fanatica o disprezzo superficiale. Con tutto il rispetto per le grandi firme della testata, alcune delle quali consegnate alla storia del fumetto italiano d'autore, cominciai a notare uno schema reiterato, una melodia già conosciuta. C'era una ricetta per preparare con mestiere quello che fino a poco prima consideravo un nutrimento magico. Mi sentii tradito, abbandonato, ferito. Per anni, con l'irremovibile diniego dell'innamorato disilluso, non volli più frequentare Craven Road.
Dylan Dog visto da LRNZE ora?
Per quanto abbia sia sempre ritenuto la dialettica hegeliana un artificio mentale lontano dalla realtà vivente del divenire, la sintesi sembra possibile: ora i tempi sembrano maturi per riconciliarmi con il vecchio Dylan. La nuova direzione, cioé quella di conciliare il ritorno all'essenza originale con l'innesto di autori provenienti dall'underground, mira a restituire a Dylan Dog il suo dono peculiare: immergere il lettore nel perturbante. Una sfida difficile, ambiziosa, ma certo degna d'essere sostenuta.
Quando vedo la copertina di LRNZ per il Dylan Dog Color Fest, oppure alcune tavole di Giorgio Santucci per una prossima storia di Mauro Uzzeo apparse sui social, sento in me il brivido che mi attraversava da undicenne e mi spingeva a piantonare l'edicola più vicina prima dell'orario d'apertura.
Una tavola della prossima storia disegnata da Giorgio Santucci su testi di Mauro Uzzeo

Le collaborazioni annunciate con autori come Ratigher e Akab (tra i più grandi interpreti attuali dell'orrore reale) credo possano destare l'interesse anche del più scettico dei detrattori. Dunque, senza incensamenti preventivi né trionfalismi pubblicitari, saluto con piacere il nuovo/vecchio Dylan Dog. Perché è inutile trincerarsi verso il facile cinismo (atteggiamento uguale e contrario al buonismo, egualmente stucchevole): non c'è nulla di più bello che ritrovare un amico.

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