venerdì 22 aprile 2016

George Bernard Shaw - "You never can tell"




George Bernard Shaw s'impone come pilastro della grande triade di geni irlandesi di fine '800 e inizio '900, esattamente al centro tra Oscar Wilde James Joyce.
Lungimirante (pensiamo alle idee progressiste, quasi proto-femministe) quanto capace di enormi abbagli (ad esempio, l'entusiasmo per Stalin diffuso per radio che indusse un centinaio di operai americani a scappare dalla Grande Depressione per migrare nella Russia sovietica), Shaw aveva ereditato dal grande precedente Wilde il dono della battuta fulminante, del paradosso scandaloso, dello sguardo corrosivo e laterale sulle convenzioni sociali.
Una relazione così evidente da ispirare anche un notevole sketch dei Monty Python.


Eppure, rispetto al brillante anticonformismo delle rappresentazioni wildiane, Shaw virerà le sue messe in scena su uno sfondo più consapevolmente politico-sociale, complice la grande influenza di Henrik Ibsen.
Il teatro come megafono della giustizia e della verità, un teatro borghese rovesciato dall'interno, prima dell'analisi scientifica (e della pesantezza) che apporterà la straniante dissezione brechtiana.
Shaw fu amico e rivale di Chesterton, l'altro grande gigante del pensiero paradossale a lui contemporaneo. I due rappresentano mirabilmente i due poli del dibattito ragione/fede, con spessore degno d'archetipi della dialettica, ben lontano dalle miserie delle chiese ideologiche che al giorno d'oggi si contrappongono (non a caso Chesterton dedicherà principalmente a lui il suo geniale pamphlet conservatore Eretici).

Shaw, Belloc e Chesterton
Shaw si servirà (come lo stimato avversario) dell'umorismo come veicolo per le sue idee. Del resto, fu sua la celebre frase: "Com'è comica la verità!", che fa il paio con l'altro notissimo aforisma, "Tutte le grandi verità cominciano come bestemmie", quasi a speculare conferma dell'opinione di Chesterton.


A questo registro ilare e ribelle si ascrive You never can tell del 1897, inserita dallo stesso autore tra le sue Pleasant Plays (contrapposte a quelle Unpleaseant in cui intendeva suscitare sentimenti sgradevoli negli spettatori).
Nella vastissima opera teatrale dell'autore (tra cui ovviamente spicca la celeberrima Pigmalione del 1912), l'opera è forse sottovalutata, pur offrendo, sull'esempio di Wilde, nella solida costruzione propria del teatro dell'era vittoriana (allora agonizzante) lampi incendiari di arguzia e stilettate satiriche destinate a destare grande scalpore all'epoca.
Forse, tra i molti giochi di parole disseminati in questa commedia degli equivoci che affronta i temi dell'indipendenza femminile e della vacuità  delle convenzioni sociali britanniche, il più acuto è quello che potrebbe fare da vessillo della carriera di Shaw: "La mia specialità è avere ragione quando gli altri hanno torto".
Pur nell'assoluto rispetto della canonica forma in quatto atti, la pièce insinua nello spettatore, in una battuta lasciata cadere con noncuranza o nella pausa successiva a una risata improvvisa, il germe del dubbio, della critica sociale, abituandolo ad uno sguardo cinico e scevro da condizionamenti sul balletto comico delle regole sociali.
Con la saggezza inconscia che lui avrebbe  forse negato, Shaw rappresenta mirabilmente l'inversione moderna degli archetipi: il marito bizzoso e sentimentale divenuto padre irresponsabile è avvolto nel Tamo Guna, la moglie, incorruttibile militante dei diritti civili il cui libertarismo entra in crisi al primo corteggiamento subito dalla figlia, mostra invece il vicolo cieco della razionalità, sbattendo contro le dure parete del Pingala Nadi (per usare categorie appartenenti alla tradizione taoista, semplificheremmo in Yin e Yang).


 You never can tell è in scena al Teatro San Genesio di Roma, un piccolo angolo d'arte nella mondanità istituzionale del Rione Prati, proprio accanto al palazzo della Rai.
La rappresentazione è molto semplice e molto fedele.
Il grande pregio è quello di essere in lingua inglese.
Dunque, con pochi accorgimenti scenici in una rappresentazione non certo ambiziosa della Wonderwall Entertainment, si riesce a ricreare il ritmo, l'atmosfera, il gioco dialettico di scomposizione con cui il beffardo Shaw disinnesca gli arrugginiti meccanismi sociali dell'epoca.


Un'occasione per sorprendersi a sorridere cinicamente di fronte all'imbarazzo di una giovane emancipata che legge Schopenhauer (pensatore maestosamente misantropo, supremamente misogino) fiera del suo razionalismo sdegnoso, eppure non sa resistere al corteggiamento old-fashioned di un navigato dentista squattrinato.
 L'opera è in scena fino a domenica 24 Aprile,

venerdì 8 aprile 2016

TUTTI GLI ARTICOLI DI FEBBRAIO



Omaggio a uno dei momenti più toccanti del video testamento Lazarus di David Bowie

Care lettrici, cari lettori,
ecco il consueto riassunto mensile, in un ritardo che apparirà comprensibile solo alla lettura di quello del mese successivo.

A Febbraio abbiamo pubblicato:

su FUMETTOLOGICA
- l'intervista a Pietro Scarnera dopo aver vinto, unico italiano dell'edizione 2016, il Premio Rivelazione al Festival di Angoulême QUI 
- la recensione di Pugni  di Battaglia e Castaldi QUI



Su LA REPUBBLICA-XL
- abbiamo parlato del Dylan Dog Color Fest di Ausonia, Aka b e Marco Galli QUI

Sul blog de IL FATTO QUOTIDIANO
- l'articolo sui rapporti tra Gandhi e Tolstoj QUI
- un articolo sull'attualità di Shakespeare QUI



Su queste ormai antiche colonne
- il riassunto degli articoli di Gennaio, dall'omaggio a Bowie alle interviste ai The Pills e a Pilar QUI

In più, abbiamo volentieri improvvisato un cameo su Cineclandestino QUI, prestandoci al gioco al massacro di Cinesatiricamente, stroncando in pochissime battute 007-Spectre



Da Marzo abbiamo ripreso a pubblicare a spron battuto su diverse testate.
A presto l'analoga raccolta mensile.
Buona Lettura!