sabato 25 giugno 2016

Pinocchio - diversi volti di una maschera immortale #LEgidadiAtena


Una delle più celebri edizioni del libro

Sulle infinite interpretazioni di un capolavoro di suprema ambiguità quale Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi si potrebbe stilare un'enciclopedia, non un libro.

Limitiamoci, dunque, ad elencare le versioni a noi più care, compagne fedeli di una ormai quasi trentennale ricerca.

Uno degli scatti più celebri di Zolla
Chiariamo subito che per noi l'interpretazione esoterica non è corretta, è clamorosamente evidente: come ha scritto il grande studioso Elémire Zolla:  "Il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile".
In Uscite dal Mondo (Adelphi, un libro bellissimo che ha il solo difetto di dedicare un capitolo a un noto falso guru indiano oggetto di continui sberleffi sui social network), la penna suprema di Zolla verga pagine memorabili, senza temere di scomodare Apuleio e Goethe:
"Le figure eterne sono in buona parte presenti in Pinocchio.
Quella del burattino simbolico innanzitutto.
Quella della donna beatificante o Vergine Sapienza: la fatina collodiana continua la tradizione di Beatrice e di Laura con sommo onore.
Quella degli aiutanti e degli avversari soprannaturali che accompagnano o ostacolano il cammino dell’iniziazione.
Quella del prologo nei cieli. Il demiurgo in molte tradizioni è un falegname e marionettaio. In sanscrito si dice sutradhara che vuol anche dire regista o architetto. La miseria e buffonaggine ovvero la caduta del mondo proviene in molte tradizioni arcaiche da un contrasto fra il Demiurgo cosmico e il Padre Celeste, narrato anche nelle cosmogonie gnostiche.
Una delle versioni più squisite è il preludio del Pinocchio.
L’archetipo della morte e della rinascita quasi dappertutto e sempre torna a vestirsi nella forma simbolica d’un inghiottimento nel ventre della balena o nelle sofferenze asinine o nel serpente verde che atterrisce, ma ha il segreto della rinascita".
Non possiamo soprattutto che sottolineare questa esemplare risposta data a Silvia Ronchey in QUESTA intervista: "Ovviamente Pinocchio è la storia di un'iniziazione. Come le Metamorfosi di Apuleio. Ha presente le pagine finali? Il latino del grande retore diventa una lingua infantile quando narra l'epifania di Iside, la madre universale, colei che compare nei sogni se si sogna rettamente... Che poi in Collodi è la fata dai capelli turchini".


Tralasciando le pacchiane pagliacciate di Benigni (il burattino castrato e zompettante fu il primo sintomo della decadenza), il classico Disney e il capolavoro nazionalpopolare di Comencini, inevitabilmente non possiamo non menzionare l'opera artistica che, come già confessato su queste colonne, ci folgorò l'infanzia: ovviamente il Pinocchio di Carmelo Bene.


Per il monstrum salentino l'icona del burattino rappresentava lo "spettacolo dell'infortunio sintattico nel teatrino perverso della Provvidenza ("la bella bambina dai capelli turchini") e dell'indisciplina cieca d'un pezzo di legno crocifisso da pro-verbi tricolori della carne: mortalità natale e sciagurata crescita umana''.
Un concetto illustrato con magistrale capacità di sintesi e maggiore chiarezza in una fulminante battuta: "è la storia di un bambino inumato prematuramente che scalcia nella propria bara".


Affine per sottile genialità e abissale introspezione, è il prodigio letterario di Giorgio Manganelli, Pinocchio. Un libro parallelo (come tutti i libri dalla bellezza rara, Adelphi): una riscrittura capitolo per capitolo del testo collodiano, in cui il gioco metaletterario dell'acutissima mente dissacrante dell'autore capovolge e spazza via qualsiasi equivoco sentimentale sull'inquietante racconto simbolico.
Riportiamo solo l'incipit, per invogliarvi alla lettura:
"C'era una volta...
– Un Re...
No...
Quale catastrofico inizio, quanto laconico e aspro, una provocazione, se si tiene conto che i destinatari sono i "piccoli lettori", i "ragazzi", soli competenti di fiabe e regole fiabesche. A scrutare tra gli interstizi di queste sette parole, si scopre subito una favola nella favola, qualcosa che è prossimo al cuore d'ogni possibile favola. Il "c'era una volta", è, sappiamo, la strada maestra, il cartello segnaletico, la parola d'ordine del mondo della fiaba. E tuttavia, in questo caso, la strada è ingannevole, il cartello mente, la parola è stravolta. Infatti, varcata la soglia di quel regno, ci si avvede che non esiste il Re.".

Giorgio Manganelli
E i fumetti?

Anche qui, dovremmo licenziare un volume della Treccani: dalle tre storiche versioni di Jacovitti alle illustrazioni di Galeppini, dalla reinterpretazione di Sto fino a Bunker/Chies e Bottaro.

Il Pinocchio di Jacovitti
Tra le più recenti, vorremmo ricordarne tre: quella di Ausonia, quella di Winshluss e quella di Marco Corona.


Perfettamente coerente con la sua poetica, Ausonia in Pinocchio. Storia di un bambino (RW Linea Chiara) capovolge specularmente, fin dal titolo, la prospettiva convenzionale, ispirandosi ad un assunto semplice e spiazzante: "E se la fiaba del burattino bugiardo fosse essa stessa una bugia? Rileggendola al contrario se ne ricava un messaggio che spinge alla rivolta".
Pinocchio, invece che al percorso iniziatico del romanzo di formazione, è sottoposto ad un itinerario quasi sadiano di destrutturazione psicologica: un interrogatorio dai tratti orwelliani lo inchioda alla colpa sociale di voler dire la verità. Tutto è rovesciato: Pinocchio viene umiliato, violentato, ingannato, solo l'incontro con Lucignolo è un'oasi di innocenza.
Un libro che è un sistematico capovolgimento delle convenzioni sociali, giocato con brillante astuzia dialettica su una delle icone più popolari del mondo.


Simile per alcuni versi, ma molto differente stilisticamente, è il Pinocchio di Winshluss (Comicon Edizioni): un notevole sforzo creativo, giocato sulle variazioni più spinte della rappresentazione alternativa e marcia del personaggio. Costruito come un robot da guerra, il protagonista, nei differenti quadri visionari che compongono la narrazione, incontrerà qualsiasi sfumatura di violenza e perversione. Qui sono assenti la cupa introspezione psicologica e l'eversiva carica antisociale di Ausonia. Il rovesciamento ulteriore è un controcapovolgimento: Lucignolo è triste e perdente, Pinocchio è un innocente macchina di morte, accolto come un Messia, ove invece sarà inconsapevole messaggero di caos.
Un libro ragguardevole a livello visivo, disturbante concettualmente.


Tra le numerose versioni, quella di Marco Corona spicca per equilibrio tra decoro formale ed originalità.
Pur nella classica eleganza della confezione Rizzoli Lizard, pur aderendo all'iconografia tradizionale dei personaggi collodiani, le illustrazioni del disegnatore rappresentano un omaggio libero e personale, incurante di ogni cura filologica, volto all'evocazione del ricordo, confuso ma autentico, delle letture infantili.
Tema centrale è lo stupore dettato dal primo incontro col personaggio, nella riscrittura mentale operata dalla fervida immaginazione di un bambino.

Come spiega lo stesso autore: "Questo Pinocchio, che è il Pinocchio come lo ricordo io, è mio e di nessun altro, e allo stesso tempo è il Pinocchio di tutti. È il racconto di Collodi illustrato così come la mia memoria l’ha restituito dopo averlo ingurgitato; corre lungo i binari del racconto tradizionale e improvvisamente sbanda, deraglia, imbocca strade diverse, costruisce da sé nuovi binari da percorrere, immagina nuove avventure possibili e impossibili. [...] Così, nella mia testa, tutto ha potuto trasformarsi, pur rimanendo uguale. E tutto continua a trasformarsi, anche ora che la mano ha fermato sulla tavola l’impressione della mia fantasia.”

Per chi segue e apprezza il talento grafico di Corona, è interessante osservare la trasformazione dal tratto lisergico e quasi felliniano de La seconda volta che ho visto Roma (sempre Rizzoli Lizard) alla compostezza da classico moderno delle illustrazioni del Pinocchio.

La versatilità dell'autore piemontese bilancia il rispetto per la tradizione grafica con l'indipendenza narrativa, in quella che è una serie di illustrazioni non didascaliche, in cui è chiaro il riferimento alle illustrazioni tardo ottocentesche di Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri, ma in cui l'ispirazione si nutre principalmente, come detto, dell'humus fertile e caotico dei propri ricordi sfocati.
Confessiamo che attendevamo il volume da tempo, e avremmo desiderato una vera e propria riduzione a fumetti.

Un'illustrazione del Pinocchio di Corona

Ci consoleremo con l'annunciata riedizione del libro di Corona su Frida Kahlo.
Tra Vanna Vinci e lui sarà una grande sfida nel rappresentare una personalità dal carisma così singolare.



Consentiteci, prima di terminare un saluto al grande Paolo Poli:



P.S.
Questo non può essere un articolo esaustivo, su un tema così vasto e stimolante.
Accettatelo nei suoi limiti, come un elenco di spunti, spero stimolanti, per approfondire nelle vostre letture le infinite possibilità di riflessione che un classico come Pinocchio può ancora offrirci.

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