domenica 21 agosto 2016

Carlo Sperduti e l'arte del racconto breve e paradossale #LEgidadiAtena


Tra gli autori di racconti brevi emersi in Italia negli ultimi anni, Carlo Sperduti si impone come tra i più sottili e intelligenti.
Un'intelligenza sottile che si è manifestata con metodo nell'accorto esercizio del proprio talento: numerosi ormai sono i racconti da lui pubblicati, in cui Sperduti, come in un laboratorio di parole e concetti, ha affinato, rodato, oliato gli ingranaggi del racconto breve, cercandone la formula aurea.
Il tutto sempre guidato da una Musa munifica quanto inaffidabile, un faro dalla luce accecante ma capricciosamente intermittente: l'umorismo paradossale.
L'esperienza ha portato Sperduti a corteggiare la Musa con accortezza ed a farsi guidare con discernimento dai lampi improvvisi e irregolari del faro prescelto.
A differenza, ad esempio, di Alessandro Bergonzoni, Sperduti non ricama la sua prosa di continui paradossi, non segue il filo delle associazioni (il)logiche, procedendo narrativamente di svolta in svolta, tracciando ad ogni bivio un percorso creato da un nuovo gioco di parole. D'altra parte, nemmeno schiera i suoi bisticci concettuali come fossero molotov pronte ad essere gettate contro il buon senso comune, nello stile di Antonio Rezza, che persegue metodicamente una decostruzione linguistica, specchio deformante, e per questo fedele, della propria dissonante ricerca filosofica.
Non ritengo nemmeno si possa associare al padre nobile del genere Lewis Carroll, i cui limerick fluviali avanzavano imponenti sull'onda del ritmo, della rima, delle associazioni libere e fulminanti.


Sperduti, ci sembra, procede in altro modo, più consapevolmente letterario rispetto ai primi due esempi, meno irrazionalmente spensierato rispetto al terzo, ingombrante maestro: trovato il calembour riuscito, il paradosso illuminante, la freddura ispiratrice egli non si limita a porla nella lista delle felici intuizioni.
Da scrittore avvertito, tecnicamente preparato, vi costruisce attorno un racconto coerente, solido, plausibile. Solo alle prime, sorprendenti battute, l'esposizione appare faceta, causa la molla iniziale (la sostituzione di una lettera ad un'espressione comune che ne ribalta il significato, un'assonanza audace che squarcia di luce inquietante la saggezza boriosa di un proverbio), ma in realtà il racconto è svolto col massimo rigore logico-deduttivo, fino alle prevedibili, inesorabili conseguenze che ciascun sillogismo narrativo imponga, data l'assurda premessa.
Dunque, è una detonazione controllata a scopo dimostrativo, un monito beffardo e ineludibile sulla vanità della logica lineare, delle convenzioni temporali, dei condizionamenti culturali, delle trappole insite nel linguaggio stesso come indizi eclatanti dei buchi neri del pensiero.
Grande precedente è Raymond Queneau, certamente, non a caso riscopritore di Hegel tramite Kojéve (e quindi abituato a confrontarsi con la dialettica identitaria tra reale e razionale).
Stilisticamente, in Italia il nome che sorge alla mente è indiscutibilmente Achille Campanile, per quanto alcuni giochi di parole abbiano un effetto comico più simile a quello ingenerato dalle improvvisazioni di Totò (genio antitetico a quello dello scrittore romano, che difatti non lo entusiasmava).
Campanile, più di Flaiano, proprio perché mentre il secondo (geniale osservatore del grottesco quotidiano) si limitava ad annotare sfondoni inconsapevoli ed irresistibili nel suo Frasario Essenziale ("Mio marito è ipocondriaco: sodomizza tutto!", "Le ha fatto un'iniezione sotto Catania"), il primo sapeva costruire in due battute un cosmo narrativo (le celebri, appunto,Tragedie in due Battute), facendo leva sulla forza esplosiva di un paradosso che violasse i limiti del pensiero.


Due sono i testi di Sperduti che sottoponiamo alla vostra attenzione, entrambi pubblicati dalle Edizioni Gorilla Sapiens.
Il primo, Lo Sturangoscia, è scritto a quattro mani con Davide Predosin, altra brillante penna amante del paradosso e del gioco linguistico (segnaliamo il suo libro notevole fin dal titolo Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto) e presenta degnamente le qualità dei due autori.
Partendo dall'invenzione di un fantomatico strumento a fiato in grado di estrarre la tristezza fisicamente dal corpo (allusione parodistica al Pranayama?), i due autori allestiscono un concerto epistolare di deliranti botta e risposta, puntellati di raggianti antinomie, acrobazie nonsense, inconciliabili accostamenti, su un tappeto ordinato e costante di giochi linguistici, talvolta geniali, talvolta divertenti fino alla diuresi, talvolta prevedibili.
Era dai tempi di Chiedi alla polvere di John Fante che una lettera non ci faceva scoppiare a ridere così tanto (in quel caso per il crudo cinismo che la ispirava):
"Gentilissimo mentecatto, le scrivo innanzitutto per ricordarle il disprezzo che nutriamo nei suoi confronti. Destinato a una fulgida carriera, lei si ostina a gozzovigliare come se non dovesse prima o poi, come tutti, rendere conto al Creatore.".



Da amanti della letteratura, e da studiosi dei meccanismi moderni che essa innervano, i due autori giocano sul finale con le convenzioni del racconto contemporaneo, mantenendosi furbescamente in bilico tra dileggio e fedeltà.
Un libro che si legge in tre ore, ma che rimane nella nostra mente anche a lettura conclusa, una come una poesia di Palazzeschi recitata da Paolo Poli.


Sottrazione, invece, ci conduce nell'officina letteraria di Sperduti: se i primi tentativi (Un tebbirrile intanchesimo e altri rattonchi e Caterina fu gettata) potevano farci pensare ad una versione sardonica e aspra di Gianni Rodari, per l'immediatezza infantile del dispositivo narrativo, in questo caso il dogma che si impone l'autore è matematico nella sua insensatezza: 34 racconti disposti per ordine decrescente di lunghezza.
Qui emergono i grandi maestri di Sperduti, a cui l'omaggio si tributa nella accurata parodia: Julio Cortázar, sopra tutti, ma anche il Borges più lieto e chestertoniano.
Nel racconto forse meno decifrabile della raccolta, Pareti discordanti, la lezione kafkiana della brevità illuminante, filtrata dai grandi sudamericani citati, si riconosce nello sguardo claustrofobico che contempla ad occhi sgranati il grottesco che possiede il reale, fino al più emblematico dei finali: "Finalmente ero diventato impossibile".

Sono letture solo apparentemente "divertenti", bensì, più profondamente, divergenti.
Dal percorso obbligato della massa chiassosa nel deserto della mediocrità.

2 commenti:

  1. Sono un estimatore convinto -sebbene lettore non perfettamente assiduo- dei lavori del Sig. Sperduti, ma posso dire che da questo momento sono ufficiali (almeno per me) le seguenti dichiarazioni :
    1) quest'articolo è tremendamente ben scritto ;
    2) colui che l'ha scritto è stato tremendamente attento alle pieghe letterarie (ir)rintracciabili tra le pagine del di cui sopra ;
    3) non sono Mao riuscito a leggere un libro in tre ore ;
    4) ho pertanto speso delle ore a giocare sulla spiaggia insieme a Carlo quando eravamo bambini ;
    5) consiglio Sperduti a tutti, nessuno escluso (ovvia banalità).
    Sentite salute,
    Domenico

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