sabato 20 agosto 2016

Le meraviglie del Progressive, dai primi Genesis agli Area #LaVinadiSaraswati

Esistono libri che uno vorrebbe scrivere, o meglio che uno ha pensato di scrivere, ha cullato come idee potenziali, progetti eventuali, proiezioni sempre più definite, architetture fantasma per edifici mai eretti, procrastinati per accidia o per, nobile scusa, volontà di maggiore approfondimento.
Intenzioni creative destinate a divenire chimere, incubi o urgenze a seconda delle congiunture, del carattere di ognuno, degli incroci permutanti dispiegati dall'esistenza come Tarocchi beffardi oppure illuminanti (a seconda di dove si contempli il volto androgino del Destino).
Talvolta, accade che qualcun altro abbia rotto gli indugi e abbia dato alle stampe esattamente quel libro che si voleva da anni scrivere, con lo stesso titolo, gli stessi riferimenti, gli stessi temi.
Spesso, per far pagare all'inconsapevole autore gemello (involontario psicopompo del nostro brusco risveglio alla realtà dalla caldo limbo amniotico del potenziale) la critica in quei casi si fa feroce, puntigliosa, accanita, pedante, ingiusta.
Eh, bisogna far scontare l'affronto a chi osato mostrarci il nostro fallimento.


Donato Zoppo sfugge a questa maledizione: il suo libro La filosofia dei Genesis - voci e maschere del Teatro Rock (eh, si la prima parte del titolo l'avevo in mente da cinque anni, ma forse non era un'intuizione originale). pur nella sua agile brevità (108 pagine! Coincidenza benedetta o ammiccamento esoterico?) ci appare inattaccabile, un compendio dettagliatissimo ed esauriente su uno dei più grandi fenomeni musicali degli anni '70.
Già ci occupammo della "cosa par venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare" che per convenzione appelliamo i Genesis-Era Gabriel (QUI e QUI)
Essendo venuti al mondo quasi un lustro dopo la fine di quella strepitosa era musicale, purtroppo dobbiamo accontentarci dei, pur impressionanti, simulacri filologici dei The Musical Box, per noi occasione non solo di ascoltare un'esecuzione impeccabile delle grandi composizioni adorate, ma soprattutto di riversare su queste colonne i nostri deliri riguardo la vasta foresta di simboli in cui si smarrì lieta l'immaginazione del giovane trickster Gabriel.


Dunque,  certo apprezziamo le interpretazioni dei brani offerte da Donato nel suo scrupoloso lavoro di analisi filologica, ma in realtà siamo rimasti molto colpiti dalla prima sezione del libro: From Ally to Tommy: Rock Theatre 1967-1969, una preziosissima e non facile ricostruzione del fermento di fine anni '60 nella Swingin' London, quel teatro neo-barocco a cielo aperto, in cui si muovevano come personaggi di una recita globale ancora da scrivere, il giovane buddista mod Bowie, il suadente maestro di bugie Kemp, il mistico autodistruttivo Barrett mentre nella New York caleidoscopica Reed cresceva alla corte di Warhol, tra gli sberleffi geniali di Zappa e l'ingenua eruzione dionisiaca di Morrison.


Un humus ardente, vulcanico, inebriante quanto velenoso, dal cui calderone ipnotico nasceranno i grandi concept album dei The Who, il glam incarnato da Marc Bolan, il maestoso alter-ego di Ziggy Stardust...e appunto le cangianti maschere di Peter Gabriel.
Zoppo segue con accurata dovizia le tappe della grande evoluzione che condurrà i Genesis da "semplice" gruppo proto-progressive a irripetibile compagine creativa di moderne sinfonie esoteriche, tesse con rigore una tela di riferimenti, date, nomi, occorrenze, contatti, influenze tale da imporre a un lettore che non sia menomato intellettivamente il desiderio di studiare i grandi testi del giovane Gabriel.
Un degno tentativo, per il quale invece di osteggiare Zoppo, lo ringraziamo: ci ha fatto risparmiare tempo e fatica, realizzando un ottimo volume introduttivo all'opera magnifica di un manipolo di geni contemporanei.
Difficile far di meglio, nel breve formato.


Tutt'altra atmosfera, benché medesimi siano gli anni, emana l'altro testo di Zoppo che vogliamo presentarvi: Caution Radiation Area - alle fonti della musica radioattiva.
Un atto d'amore, dovuto, nei confronti della straordinaria stagione degli Area, soprattutto nei confronti del loro secondo disco, grandioso abbattimento di barriere sonore, complesso fino ad essere respingente, coraggioso fino a rasentare l'inascoltabilità, autenticamente rivoluzionario, fino a pagarne le logiche conseguenze commerciali e produttive.


Zoppo qui gioca in casa, consulta e interroga i protagonisti superstiti di quell'opera incomprensibile e affascinante: Fariselli, Tofani, Tavolazzi, il transfugo Dvijas, ma anche il recordista Ferrario, il fonico Bravin, dando il giusto rilievo alle menti in cabina di regia Sassi e Albergoni.
Tutto, come prevedibile, è evocazione del grande sciamano laico della vocalità riconquistata, il carismatico esploratore della fonazione come strumento di liberazione sociale: l'indimenticato Demetrio Stratos.


A rigore, è sciocco anche catalogare sotto la vasta e ambigua etichetta di progressive l'opera degli Area, in particolar modo Caution Radiation Area, manifesto sonoro meno accostabile, ma più dirompente, del precedente memorabile Arbeit Macht Frei.

Nell'atmosfera ebbra di furia ideologica della metà degli anni '70, ritmata dalle rivendicazioni delle BR, gli articoli profetici e inascoltati di Pasolini e le bombe fasciste attribuite agli anarchici, le composizioni lunghe, estenuanti, esplosive, sovranamente ipertecniche degli Area, hanno rappresentato la colonna sonora meno popolare, ma forse più icastica, dell'inquietudine interiore che possedeva ognuno sugli illusori fronti opposti.
Merito di Zoppo è unire la passione dell'ammiratore alla serietà del critico, frenando la tentazione enciclopedica con la visione d'insieme dello studioso, che da anni dedica pagine e pagine alla straordinaria stagione musicale del progressive, esplosa attorno all'anno della sua nascita (1975).
Dinamica comprensibile: divenire esperti studiosi della musica risonante attorno alla nostra culla.

Un altro motivo per sentire profonda empatia con un autore tra i più attenti e preparati del panorama giornalistico nostrano.

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