domenica 30 ottobre 2016

Venere e Lakshmi, perché celebrare il Diwali in Occidente

A Emanuele Sabetta, di cui oggi ricorre la felice nascita
Alla Lakshmi del mio focolare, specchio della Venere botticelliana


Questi sono meri appunti di una domenica mattina per un tema che meriterebbe una trattazione in sette volumi. Spero che alcuni spunti possano essere comunque utili ganci per una ricerca ulteriore.


Sandro Botticelli, nel suo immortale capolavoro La nascita di Venere, rappresenta la divinità pagana con i tratti simbolici propri della dea Lakshmi, che nell'induismo rappresenta l'abbondanza, la buona fortuna, la luce, la grazia femminile, della saggezza.

La Venere, depurata dalla sensualità antropomorfica di Afrodite, appare, come la dea induista, mentre sorge dalla spuma del mare, elemento archetipico collegato etimologicamente anche a Maria/Myriam.
La dea, il cui splendore primigenio è subito velato pudicamente, appare in una posa "piena di grazia" su una conchiglia, come Lakshmi appare su un loto: benché dall'aspetto pingue, in rappresentazione dell'abbondanza, la dea indù rappresenta la leggerezza, la dote femminile di non porre pressione, dunque in grado di sorridere in equilibrio su un fragile fiore.
La conchiglia è un simbolo esoterico di antica tradizione (pensiamo a S.Giacomo, ma addirittura è presente sia nei paramenti papali che nei culti luciferini), per l'ovvia metafora della perla come conoscenza occulta. La peculiare rappresentazione botticelliana non può non evocare, agli studiosi di dottrine yogiche, il Mooladhara (il primo chakra, "supporto della radice") che sorregge l'osso sacro dal quale l'energia vergine femminile Kundalini s'innalza.


Ecco, dunque, che La Nascita di Venere archetipicamente rappresenta la seconda nascita, il risveglio, l'illuminazione, l'avvento di quella Primavera (altro tema botticelliano per antonomasia) interiore, annunciata dalla brezza dello Zefiro (che ad uno sguardo consapevole della simbologia induista suggerisce un accostamento con Hanuman, "figlio del dio del vento").
Questi non sono accostamenti peregrini.
L'arte di Botticelli si nutriva degli insegnamenti illuminati di Marsilio Ficino, dottissimo e risvegliato studioso di Qabbalah alla luce della visione neoplatonica (in cui il riconoscimento della manifestazione della Shekinah, aspetto femminile del Divino, ha ruolo cruciale).
Che tale ricchezza allegorica sia dono, direbbe Jung, dell'Inconscio Collettivo, oppure figlia di una strategia simbolica studiata a tavolino, ciò non sta a noi sancire.
Ma il simbolo risplende potente, innegabile, pristino sulla tela benedetta.


Lakshmi diviene poi Mahalakshmi: la benedizione terrena della ricchezza e del benessere si traduce sul piano spirituale sotto forma di beatitudine.
Per il sommo teologo e sublime poeta Adi Shankaracharya ella è Parabhrama swarupini, la forma della coscienza assoluta.
Nell'esoterismo islamico, Fatima è adorata come la "grotta del Profeta": ecco come la presenza femminile (madre, figlia o sposa nei suoi diversi aspetti) diviene rifugio, luogo, obiettivo e sostanza della meditazione stessa.

La Triplice Ecate di William Blake

In questo complesso gioco di trasfigurazione simbolica, in cui gli archetipi assumono diverse forme nelle diverse culture, è di straordinario interesse conoscere quali figure umane abbiano ispirato ai grandi artisti, nel limite dell'incarnazione terrena, le più alte visioni della storia della pittura.
Ecco come le fattezze umane divengono specchio del Divino, ecco come l'uomo è ponte ("una corda tesa" direbbe Nietzsche) al superamento stesso dei propri limiti, "Poiché Misericordia ha un cuore umano,/ Umano volto è il volto di Pietà,/ Amore è la divina umana forma/ Pace è la veste che riveste l'uomo", come ribadì William Blake (qui tradotto da Ungaretti).

Tale è il caso di Simonetta Cattaneo Vespucci, simbolo del Rinascimento, come giustamente appone l'autrice Paola Giovetti al titolo del libro a lei dedicato La modella del Botticelli(Edizioni Studio Tesi).
Una lettura incantevole che ricostruisce, risalendo a fonti non proprio abbondanti, la vita della nobildonna le cui fattezze Botticelli eternò come icona di Bellezza assoluta.
Parliamo della modella non solo della Venere, ma anche della Flora ne La Primavera e delle più celebri Madonne botticelliane.
Come il cognome rivela ai più attenti, Simonetta era imparentata alla lontana col più celebre Amerigo, avendo sposato il cugino, non prossimo, Marco.
Nello stesso albero genealogico, l'esplorazione di campi ignoti, nel globo e nell'arte.
L'arrivo a Firenze della coppia di sposi (originari di Porto Venere, il cui nome verrà dedicato a posteriori dalla più celebre delle sue figlie) fu un vero e proprio avvento per l'arte, coincidendo (grazie a quella sincronicità che danno ragione, nella sua follia mistica, a Léon Bloy quando descrive la storia come "un testo liturgico") con l'assunzione di Lorenzo il Magnifico alla guida della Repubblica fiorentina.

Madonna della Melagrana di Botticelli, con le fattezze di Simonetta Vespucci

Dunque, nella proverbiale magnificenza della circostanza, la Giovetti racconta il "Torneo di Giuliano" (fratello di Lorenzo), immortalato dal Poliziano, in cui in palio v'era appunto un ritratto della meravigliosa sposa, proclamata "Regina del Torneo" e La sans par ("la senza pari", come recitato in calce al ritratto) al cui fascino nemmeno il Magnifico stesso seppe resistere, componendo per lei versi adoranti nelle Selve d'Amore.
Non solo il Botticelli in pittura (anche in un ritratto), non solo il Magnifico in letteratura: a Pietro di Cosimo dobbiamo un celebre ritratto della Vespucci.

Ritratto di Simonetta Vespucci di Pietro da Cosimo

Ma, come l'Adorabile di Rimbaud, Simonetta Vespucci venne, sconvolse tutti con la sua bellezza, e se ne andò, morendo giovanissima di tisi (o di peste), il 26 Aprile del 1476.
L'omaggio di Lorenzo il Magnifico merita di essere riportato almeno in parte, ov'egli la celebra come la stella più luminosa che dal momento della dipartita andrà a splendere in cielo:
"O chiara stella, che co’ raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?
Perché con Febo ancor contender vuoi?

Forse i belli occhi, quali ha tolti a noi
Morte crudel, ch’omai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del lor lume,
il suo bel carro a Febo chieder puoi.

O questa o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
chiamata esaudi, o nume, e voti nostri:

leva dello splendor tuo tanto via,
che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo,
sanza altra offension lieta ti mostri".

Botticelli volle essere seppellito ai piedi della sua Musa.
Un omaggio molto più toccante e significativo dei ripetuti paralleli con cui D'annunzio intendeva esaltare le sue eroine.

Ritratto di giovane donna del Botticelli, tradizionalmente identificata con Simonetta Vespucci

In conclusione, per chiudere il cerchio dei riferimenti, ci sembra di buon auspicio oggi celebrare questo aspetto archetipico, nelle sue diverse forme divine ed umane, poiché ricorre il periodo di Diwali.
Dal sanscrito "dipawali", fila di luci, il Diwali è una delle più importanti celebrazioni nella cultura indiana, dal valore universale: celebrare la vittoria della luce (il ritorno del re giusto e nobile Rama, inconsapevole incarnazione divina, ad Ayodhya. dopo 14 anni di esilio) nel periodo più buio dell'anno.
Nelle parole del maestro Shri Mataji Nirmala Devi, il Diwali rappresenta la luce dell'illuminazione spirituale, ed è collegato a livello sottile all'archetipo di Lakshmi: "Celebrare il Diwali è qualcosa di molto gioioso. Ma questa gioia non è solo per noi stessi; questa gioia è per il mondo intero".
L'atmosfera di composta letizia e quieto splendore del Diwali ci riporta alla magia originaria delle festività natalizie, smarrite nell'affanno consumistico dei riti della società di massa.


Dopo l'esempio di Barack Obama, che da anni ha riconosciuto il valore simbolico universale della festività, per il terzo anno consecutivo il Senato italiano ha accolto la proposta dell'Unione Induista Italiana di ospitare un convegno multireligioso, in occasione della celebrazione del Diwali, sul tema dell'Educazione e linguaggi della convivenza, il 12 Ottobre scorso.

Questo è un evento importante e ci dona qualche speranza.

Continueremo a lottare dalla parte di questa resistenza multiculturale e spirituale, ben lontana dagli scherzetti o dolcetti di Halloween.

Venere e Lakshmi, perché celebrare il Diwali in Occidente

A Emanuele Sabetta, di cui oggi ricorre la felice nascita
Alla Lakshmi del mio focolare, specchio della Venere botticelliana


Questi sono meri appunti di una domenica mattina per un tema che meriterebbe una trattazione in sette volumi. Spero che alcuni spunti possano essere comunque utili ganci per una ricerca ulteriore.


Sandro Botticelli, nel suo immortale capolavoro La nascita di Venere, rappresenta la divinità pagana con i tratti simbolici propri della dea Lakshmi, che nell'induismo rappresenta l'abbondanza, la buona fortuna, la luce, la grazia femminile, della saggezza.

La Venere, depurata dalla sensualità antropomorfica di Afrodite, appare, come la dea induista, mentre sorge dalla spuma del mare, elemento archetipico collegato etimologicamente anche a Maria/Myriam.
La dea, il cui splendore primigenio è subito velato pudicamente, appare in una posa "piena di grazia" su una conchiglia, come Lakshmi appare su un loto: benché dall'aspetto pingue, in rappresentazione dell'abbondanza, la dea indù rappresenta la leggerezza, la dote femminile di non porre pressione, dunque in grado di sorridere in equilibrio su un fragile fiore.
La conchiglia è un simbolo esoterico di antica tradizione (pensiamo a S.Giacomo, ma addirittura è presente sia nei paramenti papali che nei culti luciferini), per l'ovvia metafora della perla come conoscenza occulta. La peculiare rappresentazione botticelliana non può non evocare, agli studiosi di dottrine yogiche, il Mooladhara (il primo chakra, "supporto della radice") che sorregge l'osso sacro dal quale l'energia vergine femminile Kundalini s'innalza.


Ecco, dunque, che La Nascita di Venere archetipicamente rappresenta la seconda nascita, il risveglio, l'illuminazione, l'avvento di quella Primavera (altro tema botticelliano per antonomasia) interiore, annunciata dalla brezza dello Zefiro (che ad uno sguardo consapevole della simbologia induista suggerisce un accostamento con Hanuman, "figlio del dio del vento").
Questi non sono accostamenti peregrini.
L'arte di Botticelli si nutriva degli insegnamenti illuminati di Marsilio Ficino, dottissimo e risvegliato studioso di Qabbalah alla luce della visione neoplatonica (in cui il riconoscimento della manifestazione della Shekinah, aspetto femminile del Divino, ha ruolo cruciale).
Che tale ricchezza allegorica sia dono, direbbe Jung, dell'Inconscio Collettivo, oppure figlia di una strategia simbolica studiata a tavolino, ciò non sta a noi sancire.
Ma il simbolo risplende potente, innegabile, pristino sulla tela benedetta.


Lakshmi diviene poi Mahalakshmi: la benedizione terrena della ricchezza e del benessere si traduce sul piano spirituale sotto forma di beatitudine.
Per il sommo teologo e sublime poeta Adi Shankaracharya ella è Parabhrama swarupini, la forma della coscienza assoluta.
Nell'esoterismo islamico, Fatima è adorata come la "grotta del Profeta": ecco come la presenza femminile (madre, figlia o sposa nei suoi diversi aspetti) diviene rifugio, luogo, obiettivo e sostanza della meditazione stessa.

La Triplice Ecate di William Blake

In questo complesso gioco di trasfigurazione simbolica, in cui gli archetipi assumono diverse forme nelle diverse culture, è di straordinario interesse conoscere quali figure umane abbiano ispirato ai grandi artisti, nel limite dell'incarnazione terrena, le più alte visioni della storia della pittura.
Ecco come le fattezze umane divengono specchio del Divino, ecco come l'uomo è ponte ("una corda tesa" direbbe Nietzsche) al superamento stesso dei propri limiti, "Poiché Misericordia ha un cuore umano,/ Umano volto è il volto di Pietà,/ Amore è la divina umana forma/ Pace è la veste che riveste l'uomo", come ribadì William Blake (qui tradotto da Ungaretti).

Tale è il caso di Simonetta Cattaneo Vespucci, simbolo del Rinascimento, come giustamente appone l'autrice Paola Giovetti al titolo del libro a lei dedicato La modella del Botticelli (Edizioni Studio Tesi).
Una lettura incantevole che ricostruisce, risalendo a fonti non proprio abbondanti, la vita della nobildonna le cui fattezze Botticelli eternò come icona di Bellezza assoluta.
Parliamo della modella non solo della Venere, ma anche della Flora ne La Primavera e delle più celebri Madonne botticelliane.
Come il cognome rivela ai più attenti, Simonetta era imparentata alla lontana col più celebre Amerigo, avendo sposato il cugino, non prossimo, Marco.
Nello stesso albero genealogico, l'esplorazione di campi ignoti, nel globo e nell'arte.
L'arrivo a Firenze della coppia di sposi (originari di Porto Venere, il cui nome verrà dedicato a posteriori dalla più celebre delle sue figlie) fu un vero e proprio avvento per l'arte, coincidendo (grazie a quella sincronicità che danno ragione, nella sua follia mistica, a Léon Bloy quando descrive la storia come "un testo liturgico") con l'assunzione di Lorenzo il Magnifico alla guida della Repubblica fiorentina.

Madonna della Melagrana di Botticelli, con le fattezze di Simonetta Vespucci

Dunque, nella proverbiale magnificenza della circostanza, la Giovetti racconta il "Torneo di Giuliano" (fratello di Lorenzo), immortalato dal Poliziano, in cui in palio v'era appunto un ritratto della meravigliosa sposa, proclamata "Regina del Torneo" e La sans par ("la senza pari", come recitato in calce al ritratto) al cui fascino nemmeno il Magnifico stesso seppe resistere, componendo per lei versi adoranti nelle Selve d'Amore.
Non solo il Botticelli in pittura (anche in un ritratto), non solo il Magnifico in letteratura: a Pietro di Cosimo dobbiamo un celebre ritratto della Vespucci.

Ritratto di Simonetta Vespucci di Pietro da Cosimo

Ma, come l'Adorabile di Rimbaud, Simonetta Vespucci venne, sconvolse tutti con la sua bellezza, e se ne andò, morendo giovanissima di tisi (o di peste), il 26 Aprile del 1476.
L'omaggio di Lorenzo il Magnifico merita di essere riportato almeno in parte, ov'egli la celebra come la stella più luminosa che dal momento della dipartita andrà a splendere in cielo:
"O chiara stella, che co’ raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?
Perché con Febo ancor contender vuoi?

Forse i belli occhi, quali ha tolti a noi
Morte crudel, ch’omai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del lor lume,
il suo bel carro a Febo chieder puoi.

O questa o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
chiamata esaudi, o nume, e voti nostri:

leva dello splendor tuo tanto via,
che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo,
sanza altra offension lieta ti mostri".

Botticelli volle essere seppellito ai piedi della sua Musa.
Un omaggio molto più toccante e significativo dei ripetuti paralleli con cui D'annunzio intendeva esaltare le sue eroine.

Ritratto di giovane donna del Botticelli, tradizionalmente identificata con Simonetta Vespucci

In conclusione, per chiudere il cerchio dei riferimenti, ci sembra di buon auspicio oggi celebrare questo aspetto archetipico, nelle sue diverse forme divine ed umane, poiché ricorre il periodo di Diwali.
Dal sanscrito "dipawali", fila di luci, il Diwali è una delle più importanti celebrazioni nella cultura indiana, dal valore universale: celebrare la vittoria della luce (il ritorno del re giusto e nobile Rama, inconsapevole incarnazione divina, ad Ayodhya. dopo 14 anni di esilio) nel periodo più buio dell'anno.
Nelle parole del maestro Shri Mataji Nirmala Devi, il Diwali rappresenta la luce dell'illuminazione spirituale, ed è collegato a livello sottile all'archetipo di Lakshmi: "Celebrare il Diwali è qualcosa di molto gioioso. Ma questa gioia non è solo per noi stessi; questa gioia è per il mondo intero".
L'atmosfera di composta letizia e quieto splendore del Diwali ci riporta alla magia originaria delle festività natalizie, smarrite nell'affanno consumistico dei riti della società di massa.


Dopo l'esempio di Barack Obama, che da anni ha riconosciuto il valore simbolico universale della festività, per il terzo anno consecutivo il Senato italiano ha accolto la proposta dell'Unione Induista Italiana di ospitare un convegno multireligioso, in occasione della celebrazione del Diwali, sul tema dell'Educazione e linguaggi della convivenza, il 12 Ottobre scorso.

Questo è un evento importante e ci dona qualche speranza.

Continueremo a lottare dalla parte di questa resistenza multiculturale e spirituale, ben lontana dagli scherzetti o dolcetti di Halloween.

giovedì 13 ottobre 2016

Ricordando Anna Magnani allo Spazio Cima


"Mamma Roma"
“Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C'ho messo una vita a farmele!” .
In questa celebre frase è riassunta la grandezza iconica di Anna Magnani: sincerità, fierezza, passione, gusto popolano per la provocazione.

Pochi invece conoscono un'altra frase storica, proferita da Jurij Gagarin al termine della prima rotazione compiuta della terra.
O meglio, tutti ne conoscono la prima parte. Non sanno che l'astronauta disse testualmente: "Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani".

Sarebbe ingiusto limitare la carriera della Magnani alla scena leggendaria e straziante del finale di Roma Città Aperta, che commosse perfino Ungaretti ("Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticato").
La Magnani è stata di più: Mamma Roma, innanzitutto.
Ancora una volta una madre negata, derisa, eppure titanica nella sua dignità offesa.
Fu anche la protagonista internazionale de La rosa tatuata, per cui vinse il Premio Oscar.
Fu la compagna di Rossellini, l'amante rifiutata da Marlon Brando.
Fu la prima grande icona femminile del cinema italiano nel mondo, prima di Sophia Loren o di Gina Lollobrigida, di cui certo non poteva vantare la bellezza da idolo egizio (ci riferiamo alla prima) o le forme ipnotiche (ci riferiamo alla seconda).
La Magnani fu ambasciatrice dell'arte italiana del mondo.
Jean Renoir ebbe a dire: "La Magnani è la quinta essenza dell'Italia, ed anche la personificazione più completa del teatro, del vero teatro con scenari di cartapesta una bugia fumosa e degli stracci dorati, dovevo logicamente rifugiarmi nella commedia dell'arte e prendere con me in questo bagno la Magnani, le sono grato per aver simboleggiato nel mio film tutte le altre attrici del mondo".



Ma le parole più vere e toccanti sono probabilmente quelle di Eduardo, scritte poco tempo dopo la morte dell'attrice nel '73: "Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi ".


Chi volesse esplorare la grandezza di questa indimenticabile icona di dolente umanità può visitare lo Spazio Cima, Sabato 15 Ottobre, dove dalle 18.30 alle 20,  a 60 anni dalla vittoria del Premio Oscar, verrà tributato un omaggio alla grande attrice.



Come avvertono gli organizzatori:"La partecipazione del maestro Natino Chirico che esporrà le sue opere dedicate all’attrice, oltre a raccontare aneddoti e retroscena, sarà l’occasione per ricordare la carriera della Magnani. I suoi dipinti rimarranno esposti in galleria fino al 30 ottobre.
Spazio anche alla letteratura con la presentazione del fortunato volume Anna Magnani. Biografia di una donna di Matteo Persica (Odoya).
 Sarà l’autore stesso a intervenire, rivelando gli aspetti meno conosciuti della protagonista del suo racconto".

Un doveroso omaggio a una delle più grandi protagoniste del cinema europeo.